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29/08/2018

Ripartizione spese manutenzione antenna TV condominiale


ual è il criterio di ripartizione delle spese per interventi di manutenzione dell'antenna TV condominiale?

Ce lo domanda un nostro lettore che aggiunge: «L'amministratore ha fatto richiesta della quota, allegando alla comunicazione il preventivo dell'impresa ed il relativo piano di ripartizione.

Abbiamo notato che la spesa è stata ripartita tra tutti i condòmini secondo i millesimi di proprietà.

Un mio vicino ha detto che gli porterà una sentenza dov'è scritto che la spesa va suddivisa in parti uguali. Chi ha ragione?»

=> Delibera d'installazione di un'antenna centralizzata, spesa obbligatoria per tutti?

Partiamo da una per noi - ormai sempre più doverosa - premessa. Le sentenze non sono articoli di legge. Brandire una sentenza è un fatto sempre più ricorrente, ma ahimè molto antipatico.

È vero, ci sono casi in cui portare come esempio una sentenza è utile, pensiamo a quelli in cui il pronunciamento è delle Sezioni Unite o rappresenta un orientamento unanime.

Ma una singola pronuncia, specie se di merito, non ha alcun valore indicativo, né vincolante. Insomma il condòmino potrà far valere le proprie ragioni appoggiandole ad una o più sentenze, ma l'amministratore non avrà obbligo di considerazione di quelle decisioni.

Soprattutto, mi par doveroso aggiungere, sarebbe bene portare l'informazione come elemento di valutazione, non a mo' di reprimenda sull'operato del mandatario.

Ma qui scivoliamo da un discorso giuridico ad uno d'educazione e quindi ci fermiamo.

Antenna TV condominiale

L'antenna TV è parte dell'impianto di ricezione del segnale radio-televisivo ed è condominiale a meno che il titolo (leggasi atti d'acquisto ovvero regolamento condominiale contrattuale) non dispongano altrimenti.

Condominiale ossia di tutti i condòmini, ma con il limite della proprietà in capo ai soli comproprietari che ne traggono utilità. Ciò in ossequio a quanto stabilito dall'art. 1123, terzo comma, c.c. a mente del quale «qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità».

La norma fu dettata in materia di ripartizione delle spese, ma ha dato la stura alla individuazione per via giurisprudenziale di una particolare forma di condominio nel condominio, ovvero il condominio parziale.

=> Condominio parziale, il vademecum della Cassazione

I box, per fare un esempio, solitamente non sono collegati all'impianto, né v'è la predisposizione per il loro collegamento ad esso. Ciò fa sì che si possa affermare che il proprietario di un box auto non è condòmino in relazione all'impianto TV e non può essere chiamato a rispondere delle spese per la sua manutenzione.

Spese manutenzione antenna TV

Il codice civile è carente - per molti gravemente - di chiare indicazioni applicative dei criteri di ripartizione delle spese.

Tale carenza è noto genera contenzioso o quanto meno contrato. Il caso portatoci dal nostro lettore è paradigmatico.

La giurisprudenza, specie di merito, è zeppa di pronunce sull'argomento - sovente contraddittorie tra loro - e questo fa sì che chi è interessato a far prevalere una propria visione possa utilizzarle pro domo sua.

Prendiamo il caso dell'antenna condominiale: in una risalente sentenza della Cassazione del 1969 (2 agosto 1969, n. 2916, non è nota la motivazione per esteso) si è affermato che è legittima la ripartizione delle spese in parti uguali.

Eppure rispetto ad un caso specifico, ossia rispetto alle spese di rifacimento di un tetto, la Corte di Cassazione ha affermato che queste spese «sono sostenute dai condomini, ai sensi dell'art. 1117 e 1123 codice civile, in proporzione al valore del piano o della porzione di piani appartenente a ciascuno in via esclusiva, salvo diversa convenzione, senza che sia applicabile il principio dell'art. 1101 in materia di comunione (in base al quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in egual misura, ove non risulti una diversa entità delle quote), trovando spiegazione la detta deroga nella funzione strumentale delle parti comuni dell'edificio in condominio rispetto alle parti in proprietà esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a servizio, consentendone la esistenza e l'uso» (così Cass. 29 aprile 1993 n. 5064 in Codici dell'edilizia, locazioni condominio, 3, 93).

Come dire: nemmeno se non ci sono le tabelle si può applicare un criterio di ripartizione in parti uguali. Ed allora perché dovrebbe valere per l'antenna TV, come qualcuno sostiene.

Il criterio di ripartizione paritario in condominio non è previsto dalla legge.

Ciò non vuol dire che in alcun casi non possa essere più equo rispetto a quelli delineati dal codice, ma se non v'è accordo tra tutte le parti, allora non potrà essere utilizzato.

L'amministratore del nostro lettore, quindi, ha operato correttamente, secondo chi scrive.



Fonte https://www.condominioweb.com/ripartizione-spese-manutenzione-antenna.15071#ixzz5PYpwU1aR
www.condominioweb.com


28/08/2018

L'abbandono del ponteggio del cantiere determina un'occupazione di suolo pubblico abusiva non addebitabile al condominio


a vicenda. Il condominio beta aveva stipulato con la società alfa un contratto di appalto avente ad oggetto opere di risanamento dei prospetti esterni e corpi aggettanti di risanamenti, impermeabilizzazioni, pavimentazione, terrazzi lustri solari e varie, verso un corrispettivo di circa 330 mila euro.

I lavori in esame (montaggio e smontaggio) erano stati dall'appaltatrice affidati ad altra società gamma.

La causa dell'inadempimento della società alfa il contratto di appalto si era risolto nel febbraio 2018, ma l'Impresa gamma non aveva provveduto allo smontaggio dei ponteggi, nonostante le reiterate richieste della committenza, in tal modo cagionandole ingenti danni, conseguenti alla prosecuzione dell'occupazione di suolo pubblico.

La ditta appaltatrice aveva quindi incaricato altra impresa di procedere alle operazioni di smontaggio ma le operazioni erano state interrotte per volontà della società gamma proprietaria dei ponteggi che si era dichiarata disponibile a far rimuovere la struttura solo previo pagamento di una ingente somma.

Per i motivi esposti, il condominio mediante ricorso d'urgenza (ex. art. 700 c.p.c.) ha chiesto di essere autorizzato a rimuovere i ponteggi e di ordinare alla ditta proprietaria degli stessi di non frapporre ulteriori ostacoli all'operazione.

Costituendosi in giudizio, la società appaltatrice alfa dal canto suo si era costituita in giudizio condividendo le richieste del condominio e sostenendo di aver diffidato più volte l'impresa gamma (proprietaria delle strutture) a provvedere alla rimozione, purtroppo senza esito.



Fonte https://www.condominioweb.com/legittimo-il-ricorso-durgenza-se-dopo-la-risoluzione-del-contratto.15069#ixzz5PSv1YmaT
www.condominioweb.com


28/08/2018

Acqua contaminata. Profili sanzionatori e responsabilità del gestore del servizio idrico


Il gestore del servizio idrico integrato è titolare di una posizione di garanzia in quanto deve assicurare, in base all'articolo 4, comma 1, del Dlgs 31/2001, la salubrità e la pulizia delle acque destinate al consumo umano.

Ne consegue che, a norma dell'articolo 5, comma 1, i valori di parametro fissati dalla legge per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione devono essere rispettati nel punto di consegna e nel punto in cui queste fuoriescono dai rubinetti utilizzati per il consumo umano" (Cass. Pen. 28 febbraio 2018, n. 9133).

Un caso recente => Legionella nei rubinetti. Profili di responsabilità in ambito condominiale

La vicenda. Le indagini nei confronti di Tizio e Caio venivano avviate a seguito del manifestarsi, nel giugno del 2009, di infezioni gastroenteriche acute che colpivano, molte persone che risiedevano o avevano soggiornato in un comune della provincia di Brescia.

Ad accusare i primi sintomi di gastroenterite erano stati ventuno ospiti e dieci addetti dell'Hotel Gamma cui erano seguiti gli immediati accertamenti epidemiologici da parte dei medici e dei tecnici della prevenzione del Servizio di Igiene Pubblica dell'A.S.L. per accertare l'eventuale ricorrenza di una intossicazione alimentare.

Dagli esiti delle analisi sui campioni biologici prelevati vi erano indicatori di una contaminazione nell'acqua.

Secondo i giudici di primo grado la constatata presenza di microrganismi patogeni nelle acque distribuite dall'acquedotto che aveva determinato i descritti casi di infezione era da attribuirsi e da mettere in relazione sia a carenze nella manutenzione dell'acquedotto comunale che all'inosservanza di regole di buona tecnica nel processo di trattamento e potabilizzazione delle acque cui era deputata la società Beta.

Pertanto, con sentenza emessa in data 8 febbraio 2013, il Tribunale di Brescia dichiarava TIZIO, nella qualità di direttore generale e procuratore speciale della società BETA, e CAIO, nella qualità di dirigente e responsabile del settore - ciclo idrico integrato - della predetta società, responsabili del reato di epidemia colposa (di cui all'art. 438 c.p., comma 1 e art. 452 c.p., comma 1, n. 2).

Inoltre, il Tribunale condannava i predetti al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.

In secondo grado, la Corte di appello di Brescia, confermava la pronuncia di secondo grado.

=> Acqua con concentrazioni di arsenico, risarcimento del danno e responsabilità in ambito condominiale.

Il ragionamento della Cassazione. Nella vicenda in esame era emerso checon delibera del 14 giugno 2006 l'Autorità d'Ambito Territoriale Ottimale della Provincia di Brescia aveva affidato, con decorrenza dal 01 gennaio 2007, alla predetta società la gestione del servizio idrico integrato.

Il comune e la società beta disciplinavano, con l'accordo tecnico del 01 gennaio 2007, la consegna dell'impianto di adduzione, trattamento e distribuzione dell'acqua che diventava operativa a partire dal giugno 2007.

Premesso quanto innanzi esposto, la corte di legittimità ha evidenziato che il gestore del servizio idrico integrato quale titolare di una posizione di garanziadeve assicurare, ai sensi del Decreto Legislativo n. 31 del 2001, articolo 4, comma 1 la salubrità e la pulizia delle acque destinate al consumo umano.

A tal fine le acque non devono contenere microrganismi e parassiti ne' altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana e devono essere conformi ai requisiti minimi (parametri e valori di riferimento) di cui all'allegato 1 nonché conformi a quanto previsto nei provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 14, comma 1, ossia dei parametri fisici e microbiologici.

A norma dell'articolo 5, comma 1, i valori di parametro fissati dalla legge per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione devono essere rispettati nel punto di consegna e nel punto in cui queste fuoriescono dai rubinetti utilizzati per il consumo umano. Di particolare rilevanza sono i doveri che incombono al gestore nel caso di superamento dei c.d. valori - soglia nonché' in presenza di sostanze o agenti biologici in quantità tali che possono determinare un rischio per la salute umana (Decreto Legislativo n. 31 del 2001, articolo 10, comma 3).

In tali casi, in primo luogo, sentite l'Azienda Sanitaria locale e l'Autorità d'ambito, individuate tempestivamente le cause della non conformità, il gestore ha l'obbligo di adottare i correttivi gestionali di competenza necessari all'immediato ripristino della qualità delle acque erogate (articolo 10, comma 2).

Ciò premesso, risulta evidente che Caio, nella qualità di dirigente e di responsabile del servizio idrico integrato della società beta, ha colposamente omesso di osservare le regole cautelari che gli erano imposte e che erano a presidio della salubrita' dell'acqua, come ben rappresentato nella sentenza impugnata. In particolare, Caio aveva il potere e il dovere di garantire l'esercizio dell'acquedotto secondo le regole della buona tecnica provvedendo ad una corretta manutenzione (anche in relazione alla pulizia dei c.d. filtri a sabbia) e di procedere alla tempestiva e preventiva individuazione delle situazioni di rischio desumibili dal ripetuto superamento del valore minimo consigliato di cloro residuo e dalla corrispondente presenza di microrganismi patogeni nonché di provvedere ad adottare le misure idonee ad eliminare tale rischio.

Premesso quanto innanzi esposto, secondo la Corte di Cassazione, alla stregua dei predetti principi, i fatti addebitati vanno sussunti nell'articolo 440 cod. pen. (e non dai reati contestati nel giudizio di merito).

Depongono in tal senso la qualità e quantità degli agenti patogeni veicolati nell'acqua, la cui concentrazione non era elevata, tanto che le analisi su alcuni campioni avevano avuto esito negativo.

Inoltre tali germi hanno avuto un ruolo eziologico nella diffusione di una malattia infettiva (gastroenterite) che, nelle concrete modalità di manifestazione, non è risultata particolarmente invasiva per la salute, tenuto conto anche dei tempi relativamente contenuti di guarigione delle persone offese.

In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la responsabilità di Caio ma secondo un diverso capo di imputazione. Difatti, più che applicarsi le norme di una "epidemia" (contaminazione delle acque destinate all'alimentazione da cui derivi pericolo per la salute pubblica contemplata negli articoli 439 e 440 cod. pen. che sono le fattispecie dolose alle quali l'articolo 452 cod. pen. e 452 cod. pen. associa, estendendone per relationem l'area applicativa, le corrispondenti fattispecie colpose), invece, nella vicenda in esame, i giudici hanno precisato che, nel caso in esame, il rischio sanitario era complessivamente di entità minore e quindi oggetto di applicazione dell'articolo 440 cod. pen. (Adulterazione di sostanze alimentari).

Per tali motivi, riqualificato il reato contestato in quello di cui all'articolo 440 c.p. e articolo 452 c.p., comma 2, la corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione.

=> L'amministratore è obbligato a sottoporre l'acqua a controlli periodici?

Aspetti condominiali. La sentenza in commento offre punti di riflessioni in merito al problema dei controlli dell'acqua potabile (in particolare di quanto accaduto per i casi di legionellosi a Bresso).

Dunque, esclusa la responsabilità dell'amministratore in quanto il professionista, custode dei beni comuni ed esecutore della volontà assembleare del condominio, non risulta soggetto personalmente e civilmente responsabile delle violazioni e quindi non è sanzionabile qualora abbia tempestivamente informato il condominio degli obblighi legislativi imposti dal d.lgs. n. 31/2001 e quando, in sede di assemblea, abbia richiesto l'adozione delle misure imposte.

Invece, nel caso cattivo stato delle condutture ovvero di presenza di perdite o di cattivi odori lamentati dai condomini, se l'amministratore omette di prendere opportuni provvedimenti (verifiche), sarà responsabile e soggetto di sanzioni (D.lgs. 31/2001).

Del resto come precisato nelle linee-guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi del 7 maggio 2015 della Conferenza Stato Regioni, l'amministratore di condominio è tenuto ad informare e sensibilizzare i singoli condomini sull'opportunità di adottare le misure di controllo.

Pertanto l'amministratore (come i proprietari) hanno solo l'obbligo di verificare e controllare lo stato degli impianti idrici.

Tuttavia, nel caso in cui l'amministratore dovesse individuare delle anomalie, può intervenire nell'immediato per ripristinare la salubrità dell'acqua, anche senza il consenso dell'assemblea, dal momento che si tratta della salute dei condomini.


Fonte https://www.condominioweb.com/acqua-contaminata-profili-sanzionatori.15065#ixzz5PSuhFXdc
www.condominioweb.com


28/08/2018

Detrazione canone locazione studenti universitari


Nel caso di contratti di locazione stipulati da studenti universitari, entro quale misura è possibile detrarre in canone pagato?

La domanda, evidentemente, presuppone che esista la possibilità di detrarre i canoni.

Qui di seguito, quindi, ci soffermeremo sui seguenti aspetti utili ad approfondire la vicenda e quindi rispondere al quesito. Questi i punti focali:

che cos'è un contratto di locazione per studenti universitari?
quali sono le principali norme che lo disciplinano?
come operano le detrazioni fiscali rispetto a questi contratto?
Locazione per studenti universitari

La legge n. 431 del 1998 nel disciplinare la locazione di immobili ad uso abitativo ha previsto un'apposita normativa per i contratti di locazioni finalizzati a dare alloggio a studenti universitari fuori sede.

La legge e la normativa attuativa (d.m. 16 gennaio 2017 e prima d.m. 30 dicembre 2002) stabiliscono le caratteristiche principali di questo contratto.

Luogo di ubicazione degli immobili: i comuni sedi di università corsi universitari distaccati e di specializzazione, e comunque di istituti di istruzione superiore, nonché quelli limitrofi.

Durata dei contratti: i contratti di locazione per studenti universitari possono avere una durata minima di sei mesi e massima di tre anni e sono rinnovabili alla prima scadenza, salvo disdetta del conduttore da comunicarsi almeno un mese e non oltre tre mesi prima.

Canone di locazione: si tratta di un canone così detto concordato, ovvero che le parti possono contrattare nell'ambito di apposito accordi locali tra associazioni di categoria maggiormente rappresentative.

Funziona così: le associazioni individuano in base al d.m. 16 gennaio 2017 dei range entro i quali i canoni possono variare (range che tengono conto di determinate caratteristiche dell'immobile, cfr. art. 1, quarto comma, d.m. 16 gennaio 2017) e in quest'ambito le parti determinano la misura del canone di locazione.

Forma del contratto: ai sensi dell'art. 1 della legge n. 431/98 e dell'art. 3, quarto comma, del più volte richiamato decreto ministeriale, i contratti di locazione per studenti universitari devono essere stipulati in forma scritta ed esclusivamente utilizzando il tipo di contratto allegato al citato decreto.

Per la stipula dei contratti di locazione, su loro richiesta, le parti possono essere assistite dalle rispettive organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori.

Contratti per studenti e detrazioni fiscali

Per i corrispettivi versati a titolo di canone di locazione, generalmente, la legge prevede la possibilità di fruire di detrazioni fiscali; non fanno eccezione le locazioni per studenti universitari.

La detrazione è una misura di vantaggio per il contribuente che gli consente di sottrarre dall'imposta lorda una somma di denaro stabilita dalla legge.

Nel caso che ci riguarda il riferimento normativo è rappresentato dall'art. 16 del d.p.r. n. 917 del 1986.

=> Detrazioni dei canoni di locazione dell'abitazione, quando è possibile beneficiarne?

Il secondo comma del succitato articolo specifica che:

«Ai soggetti titolari di contratti di locazione di unità immobiliari adibite ad abitazione principale degli stessi, stipulati o rinnovati a norma degli articoli 2, comma 3, e 4, commi 2 e 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, spetta una detrazione complessivamente pari a:

a) € 495,80, se il reddito complessivo non supera euro 15.493,71;

b) € 247,90, se il reddito complessivo supera euro 15.493,71 ma non euro 30.987,41»

Questa è la norma afferente ai benefici fiscali in favore degli studenti universitari, ovvero dei loro parenti che pagano il canone in loro vece, nell'ambito dei contratti di locazione stipulati tra privati.

Esiste un beneficio di natura fiscale anche per i contratti di locazione stipulati da studenti universitari con enti per il diritto allo studio, università, collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro e cooperative (art. 15, primo comma, lett. i- sexies) e lett. i-sexies.01) d.pr. n. 917/86).

In tal caso, a mente di tale disposizione, il conduttore (lo studente) ovvero il familiare di cui lo studente risulti fiscalmente a carico ai sensi dell'art. 12, comma 2, del TUIR (Circolare n. 7/E Agenzia delle Entrate del 27 aprile 2018), ha diritto alla detrazione del 19% del canone versato, purché:

presso un'università ubicata in un comune diverso da quello di residenza, distante da quest'ultimo almeno 100 chilometri e comunque in una provincia diversa;
oggetto del contratto di locazione devono essere unità immobiliari situate nello stesso comune in cui ha sede l'università o in comuni limitrofi.
La lettera i-sexies.01 dell'art. 15 d.p.r. n. 917/1986 specifica che «limitatamente ai periodi d'imposta in corso al 31 dicembre 2017 e al 31 dicembre 2018, il requisito della distanza di cui alla lettera i-sexies) si intende rispettato anche all'interno della stessa provincia ed è ridotto a 50 chilometri per gli studenti residenti in zone montane o disagiate».

In ogni caso per quest'ultimo tipo di contratti esiste un tetto massimo della somma detraibile che non può essere superiore ad un importo di 2.633 euro.

Nullo il contratto di locazione se concluso verbalmente.
Clausola abusiva nel contratto di locazione.
Che cosa bisogna fare al termine della locazione per riconsegnare l'immobile senza subire contestazioni?

(Fonte www.condominioweb.com)


28/08/2018

Infiltrazione dai muri perimetrali, il danno si ripartisce secondo millesimi di proprietà


In tema di risarcimento danni da infiltrazioni derivanti dai muri perimetrali e verificatisi in un'unità immobiliare di proprietà esclusiva, la relativa spesa dev'essere ripartita tra tutti i condòmini, secondo i millesimi di proprietà, ivi compresi quelli proprietari di locali ubicati al piano terreno dell'edificio.
Questa, in breve sintesi, la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11288 pubblicata, mediante deposito in cancelleria, il 10 maggio 2018.
La pronuncia merita attenzione in quanto, come vedremo qui di seguito, pone l'accento su alcuni aspetti fondamentali e ricorrenti sia per ciò che concerne il concetto di condominialità dei beni, sia in relazione alle conseguenze risarcitorie derivanti da tali beni, ossia:
muri maestri e muri perimetrali, ai fini della valutazione della condominialità di tali manufatti sono sostanzialmente la stessa cosa;
i danni da infiltrazioni derivanti dai muri perimetrali devono essere sostenuti da tutti i condòmini, anche quelli proprietari del piano terreno che si pone in posizione sporgente rispetto al muro perimetrale dei piani superiori.

Nel caso risolto dalla sentenza n. 11288, i fatti sono stati pressappoco i seguenti:
s'è verificato un danno da infiltrazioni in un appartamento e derivante dalla facciata condominiale, ossia dai muri perimetrali;
l'assemblea condominiale ha provveduto a ripartire la spesa del risarcimento richiesto dalla condòmina secondo i millesimi di proprietà
un'altra condòmina del piano terreno ha impugnato la delibera contestando quel riparto;
la causa è giunta davanti alla Corte di Cassazione dopo che la sentenza di primi grado aveva dato ragione alla condòmina, mentre quella di appello, poi impugnata dalla stessa, aveva ribaltato l'esito del giudizio dandole torto;
i giudici di legittimità hanno confermato la bontà della sentenza di secondo grado e quindi della deliberazione di ripartizione della spesa avente ad oggetto il risarcimento del danno derivante dai muri perimetrali dell'edificio.

Come si è arrivati a questa conclusione? Oggetto del contendere è stata la distinzione tra muro maestro e muro perimetrale.

Secondo la condòmina che aveva impugnato la sentenza di secondo grado, esiste una differenza sostanziale: i muri maestri sono condominiali, sì come stabilito dall'art. 1117 c.c., ma i muri perimetrali, che sono cosa differente da quelli maestri, non lo sono e quindi una spesa derivante da essi non può essere suddivisa tra tutti i condòmini, ma solamente tra quelli che se ne servono.
L'impugnante insisteva sul fatto che la sua unità immobiliare, posta a piano terreno, fosse autonoma rispetto all'edificio.
Non conoscendo lo stato dei luoghi, ma leggendo dalla sentenza una loro sommaria descrizione, parrebbe trattarsi del classico caso del locale terraneo avanzato rispetto ai piani superiori.
Tale stato dei luoghi portava la ricorrente a concludere che i muri perimetrali di questi piani non fossero anche suoi.
Per la Corte d'appello e poi per quella di Cassazione che ha confermato la sentenza impugnata, la condòmina era in errore.
Gli ermellini hanno affermato che nella sentenza impugnata è stata fatta corretta applicazione di quei principi, che s'è inteso ribadire, che vedono nei muri perimetrali, al di là della loro configurabilità tecnica come muri maestri (ossia muri portanti dell'edificio), come parti comuni in quanto, tra le altre cose, ne caratterizzano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato e ne delineano la sagoma architettonica.
Tale caratterizzazione specificano i giudici di legittimità, è tale da far considerare i muri perimetrali comuni a tutti i condòmini anche «nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici" (Cass. n. 839 del 1978)» (Cass. 10 maggio 2018 n. 11288).

Insomma il muro perimetrale è da ritenersi un unicum comune a tutti i condòmini proprietari di unità immobiliari ubicate nell'edificio, al di là di come l'edificio sia sagomato.
Conseguenza di questa considerazione d'ordine proprietario è la scelta del criterio di ripartizione della spesa afferente al risarcimento del danno derivanti da infiltrazioni provenienti dal muro perimetrale.

Al riguardo la Corte di Cassazione non ha dubbi nel considerare questa spesa come necessariamente soggetto al criterio di ripartizione generale, ovverossia da suddividersi tra tutti i condòmini in ragione dei millesimi di proprietà.

Non può essere sottaciuto che la Corte apre uno spiraglio di discussione sulla modalità di ripartizione delle spese di manutenzione dei muri perimetrali, lasciando intravedere la possibilità di porsi la domanda se per tali spese possa essere tenuto in considerazione l'uso di cui all'art. 1123, secondo comma, c.c.
Un inciso, per lo scrivente, evitabile dato il rischio di ingenerare ulteriore confusione in una materia già di suo molto incerta come quella della ripartizione delle spese condominiali.

(Condominioweb.com)



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