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F.A.Q. Condominio, Domande e Risposte frequenti sull'Amministrazione Condominiale




Ai centri commerciali si applicano le norme dettate per il condominio?
Nel caso edifici che costituiscono dei centri commerciali si applicano le norme sul condominio negli edifici, fintanto che non trovano applicazione le clausole contrattuali che disciplinano la gestione degli spazi comuni alle singole unità immobiliari. Questa la conclusione che è possibile trarre leggendo la sentenza n. 7736 resa dalla Suprema Corte di Cassazione il 2 aprile 2014. Nel caso di specie uno il proprietario di un'attività commerciale ubicata nel predetto centro s'è visto condannato al pagamento delle spese condominiali richiestogli con decreto ingiuntivo. In breve: la società Alfa edifica un centro commerciale ed inizia a vendere le unità immobiliari in esso ubicate. Negli atti d'acquisto è previsto che la gestione delle parti comuni sia demandata ad un consorzio di successiva costituzione. Di conseguenza le spese per la gestione di tali aree avrebbero dovuto essere disciplinate in base agli accordi contrattuali. L'uso del condizionale non è casuale. Il consorzio, infatti, non veniva costituito e nelle more di tale atto, la gestione veniva demandata al condominio che, con regolari assemblee, provvedeva a ripartire i costi tra tutti i proprietari delle unità immobiliari ubicate nel centro. Ne seguiva un ricorso per decreto ingiuntivo contro uno dei partecipanti alla compagine. Questi si opponeva contestandone la legittimità: egli, a suo modo di vedere, non doveva alcunché in quanto gli atti d'acquisto lo esoneravano dalle spese. L'opposizione veniva accolta in primo grado ma, a seguito del giudizio d'appello promosso dal condominio si tornava al punto di partenza (vale a dire alla legittimità del decreto): insomma il condomino doveva pagare. Da qui il ricorso in Cassazione. Prima di entrare nel merito della soluzione fornita dagli ermellini, vale la pena soffermarsi sulla natura dell'obbligo di contribuzione alle spese di gestione del condominio. La Cassazione, sul punto la dottrina è concorde, afferma oramai da tempo che "le obbligazioni dei condomini di concorrere nelle spese per la conservazione delle parti comuni si considerano obbligazioni propter rem, perché nascono come conseguenza della contitolarità del diritto sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni. Alle spese per la conservazione per le parti comuni i condomini sono obbligati in virtù del diritto (di comproprietà) sulle parti comuni accessori ai piani o alle porzioni di piano in proprietà esclusiva. Pertanto, queste obbligazioni seguono il diritto e si trasferiscono per effetto della sua trasmissione" (Cass. 18 aprile 2003 n. 6323). Insomma si pagano le spese di conservazione in quanto s'è proprietari dell'unità immobiliare ubicata nell'edificio. (Decreto ingiuntivo: il verbale di approvazione del rendiconto è prova scritta) La normativa sulle spese ed in ogni caso quella sulla gestione delle parti comuni di un edificio può essere regolamentata tra le parti in modo autonomo, ma fintanto che ciò non si avvera, non v'è motivo per escludere che la gestione del condominio sia soggetta all'ordinaria disciplina codicistica. In tal senso, con riferimento al caso sottopostole, la Cassazione ha affermato che solo a seguito della costituzione del consorzio "l'amministrazione delle cose comuni relativa all'area adibita a centro commerciale sarebbe stata differentemente normata e disciplinata con autonoma e nuova elaborazione di tabelle di ripartizione di spese ed oneri". Nelle more dell'esecuzione di questo di questo adempimento, specificano dalla Cassazione, dovevano trovare applicazione le norme sul condominio. Di conseguenza, i giudici proseguono nel loro ragionamento evidenziando che dalle delibere assembleari "(peraltro mai impugnate dal ricorrente), in cui sono state deliberate e ripartite le spese per le quali fu a suo tempo ingiunto il pagamento, non poteva che derivare l'obbligo del dovuto pagamento". In buona sostanza, chiosano da piazza Cavour, "mancando la prova della costituzione del Consorzio ed essendo, viceversa, sussistente la prova dell'esistenza Condominio non può che ritenersi esatta la conclusione a cui è pervenuto il Giudice d'appello [?]" (Cass. 2 aprile 2014 n. 7736), ossia: il decreto era legittimo ed il condomino deve pagare quanto richiesto con quell'atto. (Magazzino non riscaldato perchè il proprietario deve pagare le spese?) Fonte http://www.condominioweb.com/ai-centri-commerciali-si-applicano-le-norme-per-il-condominio.2194#ixzz3mMYK6vWc www.condominioweb.com


Alterazioni architettoniche degli edifici condominiali. Cosa Fare?
Nonostante il decoro architettonico rappresenti una prerogativa essenziale degli edifici residenziali il legislatore non enuclea una precisa nozione. Il caso. Le presenti considerazioni prendono spunto da una controversia giunta in Cassazione (sentenza 4 febbraio 2014, n. 2441). Alcuni condomini effettuano una serie di lavori sulle loro proprietà esclusive, in violazione di una norma prevista dal regolamento che vieta ogni alterazione architettonica. Secondo i giudici di merito, il divieto previsto nel regolamento condominiale di alterazioni architettoniche, vale a prescindere dall'incidenza delle modifiche sul profilo estetico. Di diverso avviso sono i ricorrenti, secondo cui il decoro architettonico del condominio è un concetto"di relazione" che si pone come limite alla libera espressione del diritto dominicale del singolo condomino. Di conseguenza, il divieto predetto viene violato solo se le opere immutative abbiano assunto un carattere negativo rispetto all'estetica del fabbricato (nel caso di specie non si era verificato in quanto avevano chiuso alcuni balconi con vetrate omogenee). Trattandosi di valutazioni di fatto la Corte, in sede di legittimità, non può pronunciarsi ma la problematica ci consente di effettuare alcune considerazioni sul nozione di decoro e sua eventuale alterazione. => Il concetto di "alterazione". In tema di edifici in condominio la tutela delle parti comuni viene apprestata nei casi in cui il condomino ne faccia un uso illegittimo, compromettendone l'aspetto esteriore con innovazioni che alterino il decoro architettonico del fabbricato. Quindi l'indagine relativa va condotta in stretta correlazione con la visibilità della nuova opera, tenuto conto che nessun pregiudizio può essere riscontrato in manufatti che siano assolutamente invisibili ai terzi, ovvero siano visibili in posizioni tanto distanti e particolari da non lasciar spazio ad un'eventuale compromissione estetica. (Corte di Cassazione, 17 ottobre 2007, n. 21835).Si ricorda, inoltre, che l'estetica del fabbricato è data dall'insieme dei suoi elementi architettonici e strutturali e non dal contesto in cui lo stesso si colloca.I valori architettonici, pertanto, vengono impressi dal complesso delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell'edificio e non dall'impatto dell'ambiente circostante. Una determinata innovazione (tipo la realizzazione di una veranda) potrebbe costituire o meno alterazione dell'euritmia del fabbricato unicamente nel caso in cui vi sai una apprezzabile depauperamento del decoro architettonico. Una violazione dell'euritmia del corpo di fabbrica, quindi, potrebbe essere lamentata nel caso in cui il fabbricato abbia una valenza storica di rilievo ovvero nell'ipotesi in cui il corpo di fabbrica acquisisca valenza e valore per il particolare inserimento nel contesto nel territorio circostante. (Corte di Cassazione, 18 novembre 2011, n. 24327). Quindi, l' alterazione del decoro va valutata caso per caso, e pertanto, sfugge a catalogazioni normative. => Il limite del regolamento condominiale. In tale contesto è opportuno chiarire il "peso", in materia, del regolamento condominiale. La giurisprudenza di legittimità precisa che il regolamento condominiale ben può contenere norme intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio e, dunque, suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli condomini in funzione della salvaguardia del bene comune. Ma si è anche precisato che le compressioni particolarmente onerose del diritto di proprietà dei singoli condomini dovrebbero essere inserite necessariamente in un regolamento condominiale di natura contrattuale. Pertanto solo un regolamento condominiale di natura contrattuale può incidere sui diritti dei singoli condomini inerenti le parti comuni e quelle di proprietà esclusiva, fino al punto da vietare, in maniera più stringente rispetto al codice civile, determinati comportamenti (Corte di Cassazione, 24/01/2013,n. 1748).Del resto, recentemente, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che limitino, nell'interesse comune, i diritti dei condomini sia relativamente alle parti comuni, sia con riguardo al diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà (Corte di Cassazione, 10 maggio 2012, n. 7178). Quindi solo le norme di un regolamento di origine contrattuale possono derogare o integrare la disciplina legale, fornendo del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 c.c. ed estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio (Corte di Cassazione., 6 ottobre 1999, n. 11121).


Approvazione del regolamento condominiale: che cosa accade dopo la sua adozione in sede assembleare?
“ Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione” (art. 1138, primo comma, c.c.). La deliberazione del regolamento è validamente assunta con il voto favorevole dalla maggioranza dei partecipanti all’assemblea che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio. La stessa maggioranza richiesta per la nomina dell’amministratore, per intendersi. Il condominio, ma questo può avvenire solamente se c’è il consenso di tutti quanti i comproprietari e non per forza in sede assembleare, può dotarsi d’un regolamento contrattuale che per definizione è in grado di limitare e vincolare l’uso delle parti di proprietà esclusiva e comune. Nel caso di instaurazione di vere e proprie servitù il regolamento dovrà essere trascritto presso la conservatoria dei pubblici registri immobiliari, oltre ad essere redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata, ai fini della sua opponibilità a terzi (si pensi a soggetti non ancora condomini al momento della sua stipula). In entrambi i casi il regolamento deve assumere forma scritta a pena di nullità. E’ bene ricordare, inoltre, che nel caso di regolamento contrattuale la modifica delle clausole assembleari (quelle che disciplinano l’uso delle cose comuni, ad esempio) può essere deliberata con le maggioranze indicate dalla legge per l’adozione e la revisione del regolamento. Solamente le clausole contrattuali debbono essere modificate con il consenso di tutti i condomini. Ciò detto è bene comprendere, anche grazie ad alcuni esempi, come l’adozione di un regolamento possa incidere sulle modalità d’uso e sui diritti dei condomini in relazione alle cose comuni ed alle parti di proprietà esclusiva. Uso delle cose comuni e delle parti di proprietà esclusiva S’ipotizzi che, a seguito dell’adozione di un regolamento, l’uso del parcheggio debba avvenire a turnazione (per permettere a tutti i condomini di sostare, stante il numero superiore di mezzi rispetto agli spazi destinati ad accoglierli) o che l’assemblea disponga, per ragioni di miglior uso il divieto di sosta sui viali condominiali. In tal caso, al di là delle cattive abitudini, tutti i comproprietari debbono osservare la nuova norma, salvo il caso di impugnazione e dichiarazione d’illegittimità della regola. Niente di diverso dal rispettare una nuova legge, sostanzialmente. Quanto alle limitazioni d’uso (es. divieto di parcheggio per uno specifico o condomino o divieto di detenere animali domestici) queste limitazioni possono essere contenute solamente in un regolamento contrattuale. Al pari delle “normali limitazioni” se legittimamente adottate anch’esse devono essere rispettate. Che cosa accade se, ad esempio, si vieta la detenzione di animali eppure qualche condomino già lì ha? In questo caso dovranno essere le parti nel redigere la clausola a disciplinare a partire da quando debba ritenersi valida e con quali, eventuali, eccezioni. Fonte http://www.condominioweb.com/approvazione-del-regolamento-condominiale-e-nuove-regole-cosa-accade-dopo-la-sua.727#ixzz3mMei6MGA www.condominioweb.com


Bed & breakfast in condominio. Vi è la compatibilità con la destinazione abitativa? Le norme.
Quella del Tribunale di Verona è solo l'ultima sentenza, in ordine di tempo, ad essersi occupata del rapporto tra l'attività di B&B ed i regolamenti condominiali che spesso vietano di destinare le unità abitative ad attività di impresa, distraendole dalla loro destinazione naturale. Il Tribunale, nonostante il divieto contenuto nell'art. 29 del Regolamento del condominio resistente (in base al quale doveva ritenersi vietata l'adibizione degli alloggi ad uso laboratorio, scuole, circoli ricreativi, depositi di merci ed a qualsiasi altra attività di impresa e, più in generale, ad un uso diverso da quello di abitazione e/o differente da quello previsto dal piano regolatore del Comune di Verona), invocato dallo stesso per vietare alla condomina-ricorrente, di destinare le due unità immobiliari di sua proprietà ad attività di B&B e per impedire agli ospiti di questo di accedere alle parti comuni del condominio, quali piscina, parco, campo da tennis ed altro, ha ritenuto che essendo tale divieto contenuto in un atto negoziale a carattere regolamentare, lo stesso debba soggiacere alle regole ermeneutiche fissate ex art. 1362 c.c. e che, pertanto, l'interprete non debba e non possa limitare la propria interpretazione al solo dato letterale, dovendo dare rilievo all'effettiva volontà delle parti. Il Tribunale nell'escludere l'incompatibilità tra l'attività di B&B e la destinazione abitativa dell'immobile ha, infatti, tenuto conto del fatto che lo stesso regolamento non impedisca, anzi, consenta, ai condomini di affittare le proprie unità abitative, consentendo anche ai locatari di accedere e di fruire degli spazi comuni anzidetti. Secondo il Tribunale, inoltre, il divieto posto dall'art. 29 del Regolamento esprime la volontà e deve, quindi, essere interpretato nel senso di vietare solo quelle attività incompatibili con la destinazione abitativa, interpretazione suggerita anche da alcune pronunce della Corte di Cassazione, in base alle quali ai limiti negoziali ed eteronomi posti al godimento della proprietà esclusiva è necessario dare una interpretazione restrittiva, per non comprimerne eccessivamente la vocazione espansiva (Si veda Cass. civ., 31 luglio 2012, n. 137281, in D&G online, 2012, pag. 666, con nota di A. GALLUCCI, La Corte utilizzata come zona di passaggio può essere usata come parcheggio?). I divieti e le limitazioni al godimento delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, contenuti in norme di un Regolamento condominiale (Si veda Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10335, in Riv. Not. 1999, pag. 668, secondo cui le convenzioni che obbligano tutti o alcuni condomini a preservare le originarie destinazioni delle unità immobiliari per l'utilità generale dell'edificio possono essere inserite nei Regolamenti condominiali che, per la relativa parte, assumono natura contrattuale) devono, infatti, risultare da una volontà chiaramente ed espressamente manifestata o comunque desumibile in modo non equivoco dalle stesse, in modo da non lasciare margini di incertezza circa il loro contenuto e la portata delle disposizioni (In tal senso, Cass. civ., sez. III, 10 aprile 2010, n. 3002, in Giust. Civ. 2010, 5, pag. 1099, con nota di N. Izzo). Quanto alle modalità di indicazione dei divieti e delle limitazioni di destinazione che possono interessare le unità immobiliari di proprietà esclusiva, la Cassazione si è espressa nel senso che possono essere formulati sia elencando le attività vietate, sia indicando i pregiudizi che si intende evitare; in tal caso, per stabilire se l'attività rientri o meno tra quelle vietate, è necessario accertare l'idoneità della destinazione a produrre gli inconvenienti che si intendono evitare (cfr. Cass. civ., 18 settembre 2009, n. 20237, in D&G online, 2009, 3, con nota di A. Gallucci, Regolamento di condominio e facoltà d'uso delle unità immobiliari: la Suprema Corte afferma la legittimità delle clausole imitatrici.) Nel caso di specie, l'attività di B&B, a prescindere dal suo essere o meno un'impresa commerciale, è stata ritenuta perfettamente compatibile con la destinazione abitativa dell'unità immobiliare, poiché, in base alla l. 135/2001 ed alle L. regionali applicative deve necessariamente essere esercitata nell'ambito di immobili che possiedono i requisiti urbanistico-edilizi, igienico-sanitari e di sicurezza previsti per le abitazioni. Ad una conclusione non dissimile da quella del Tribunale di Verona è giunta la Cassazione con la sentenza 24707/2014 (Cass. 20 novembre 2014 n. 24707,in www.condominioweb.com, con nota di A. Gallucci, Bed and Breakfast in condominio nessun cambio di destinazione d'uso degli appartamenti; ed in Immobili & Proprietà 3/2015, pag. 151 con nota di L. Salciarini, Bed & Breakfast e regolamento di condominio), con la quale i giudici di legittimità hanno riconosciuto che rispetto all'attività di B&B in condominio non possa parlarsi di cambio di destinazione d'uso dell'immobile in cui essa si svolga, poiché tale servizio viene offerto in una civile abitazione; nel caso di specie il Regolamento condominiale vietava di destinare gli appartamenti ad un uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato. Il Tribunale ha, inoltre, precisato che, per il suo esercizio, non è richiesto il requisito della professionalità in capo ai soggetti che la esercitano né l'apertura della partita Iva, purché venga assicurata la saltuarietà della stessa, mediante l'interruzione dell'attività per un certo numero di giorni, variabile da Regione a Regione, anche non consecutivi. Infine, il Tribunale ha sottolineato la libertà che ne accompagna la cessazione in ogni momento, senza che vi sia la necessità di operare ristrutturazioni dell'unità abitativa al fine di ripristinarne la destinazione ed il carattere sobrio,breve e parafamiliare della fruizione dell'immobile adibito a questo tipo di attività di ospitalità. Da ultimo si segnala la sentenza 26087/2010 (Cass. 23 dicembre 2010 n. 26087 in www.condominioweb.com, con nota di A. Gallucci, Regolamento di condominio e divieto di svolgere attività di affittacamere: è vietato anche il Bed & Breakfast), con cui la Corte di Cassazione ha escluso la liceità dell'attività di B&B condotta da un condominio, pur non essendo tale attività espressamente menzionata nel Regolamento di condominio, ritenendola riconducibile entro l'attività di affittacamere espressamente indicata, da tale atto, tra le attività vietate. Fonte http://www.condominioweb.com/lattivita-di-bedbreakfast-compatibile-con-la-destinazione-abitativa.11852#ixzz3mMWgMSfj www.condominioweb.com


Bed & breakfast in condominio? Cosa Fare?
Con una recente ordinanza la Corte di Cassazione stabilisce che la legislazione in materia urbanistica non può comportare un automatico recepimento della disciplina nell'ambito di rapporti privatistici Il caso. La controversia in questione origina dall'impugnazione proposta da un Condominio contro la delibera assembleare che aveva autorizzato due condomini allo svolgimento di un'attività di bed & breakfast all'interno dell'unità immobiliare di loro proprietà esclusiva. Rigettata l'impugnazione dinanzi al Tribunale, la medesima trovava accoglimento in sede d'appello: convincimento del giudice del gravame era infatti che «tale delibera, assunta a maggioranza, si ponesse in contrasto con l'uso abitativo contrattualmente prestabilito nel regolamento condominiale e, in particolare, con i patti speciali allegati agli atti di divisione dell'immobile, costituenti regolamento condominale contrattuale e nei quali era previsto che “i proprietari del fabbricato si impegnano sin d'ora a destinare esclusivamente ad abitazione singoli piani loro assegnati, impegnandosi categoricamente a non modificare tale destinazione”». Da un lato, dunque, detta previsione , vietando in maniera specifica e categorica un uso diverso da quello abitativo, non consentiva di includervi un'attività ricettiva di tale natura; dall'altro, la delibera contestata violava l'art. 1102 c.c. «incidendo sui diritti individuali del condomino che subirebbe un deprezzamento del valore della sua proprietà che verrebbe snaturata anche quanto al suo utilizzo tenuto conto che l'immobile è una pregiata villa di campagna con ingresso, viale di accesso e giardino comune». Ricorrevano dunque in cassazione i condomini soccombenti in appello. Questo condominio non è una pensione. La decisione. I ricorrenti hanno preliminarmente censurato la sentenza impugnata sul presupposto che una legge della Regione Lombardia dispone espressamente che l'esercizio dell'attività di bed and breakfast non determini il cambio di destinazione d'uso dell'immobile. La Suprema Corte ha radicalmente escluso la fondatezza di detto motivo chiarendo che «circa la rilevanza della legge regionale che esclude che il bed and breakfast possa integrare un mutamento di destinazione d'uso, occorre ribadire che la legge regionale ha finalità diverse, relative alla classificazione delle attività (alberghiera o non alberghiera), e non può incidere sui rapporti privatistici e sugli obblighi che reciprocamente si assumono i condomini, in questo caso con un regolamento contrattuale». In materia – sottolineano i giudici di legittimità – rileva piuttosto la giurisprudenza della medesima Corte, la quale ha chiarito che l'attività di affittacamere, sostanzialmente analoga a quella in questione, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue dimensioni decisamente più contenute, richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni, ma anche la prestazione di servizi personali; in assenza di detta prestazione, quella cessione non può essere ricondotta all'attività di affittacamere, né, di conseguenza, essere sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo (Cass. civ., 8/11/2010, n. 22665). Peraltro, sotto un ulteriore profilo, i ricorrenti hanno denunciato la correttezza della sentenza impugnata in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale del 14 novembre 2008, n. 369, la quale aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale di un comma dell'art. 45 della Legge Regione Lombardia n. 15 del 2007, nella parte in cui condiziona al consenso dell'assemblea condominiale l'esercizio dell'attività di bed & breakfast in appartamenti situati in condominio; al riguardo, i giudici costituzionali avevano rilevato che una norma regionale non può ingerirsi nella materia dei rapporti condominiali tra privati. Tuttavia, il richiamo che di tale sentenza viene fatto nella fattispecie in commento non è corretto, dal momento che la Corte Costituzionale, diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, non avrebbe confermato che sarebbe illegittimo il sindacato del condominio sull'utilizzo delle singole abitazione quando non vi sia cambio di destinazione di uso, ma ha ribadito che «al legislatore regionale non è consentito incidere su un principio di ordinamento civile e, in particolare, sul rapporto civilistico tra condomini e condominio […]». La norma regionale contestata disciplinava il rapporto privatistico tra condomini e condominio in modo difforme e più severo rispetto alle previsioni del codice civile e, in particolare, dagli artt. 1135 e 1138 c.c. Pertanto, considerando che queste norme restringono i poteri dell'assemblea dei condomini a quelli fissati tassativamente dal codice e che la compagine assembleare non può porre limitazioni alla sfera di proprietà dei singoli condomini, a meno di una loro specifica ed espressa accettazione, nel caso esaminato dalla Corte Costituzionale, la situazione si presentava esattamente al contrario, con una delibera assembleare approvata a maggioranza che pretendeva di derogare pattuizioni regolamentari contrattuali – adottate all'unanimità. In definitiva, «il problema che si è giustamente posto il giudice di appello per decidere la controversia era e rimane un problema sostanzialmente interpretativo della volontà espressa dai proprietari», ossia, nella fattispecie, una questione di interpretazione del regolamento condominiale contrattuale, che, vietando categoricamente un uso diverso da quello abitativo, non consente una destinazione dell'unità abitativa a bed and breakfast; pertanto – si conclude in sede di legittimità – «non si pone un problema di applicazione o violazione delle norme di legge richiamate nel motivo». Il servizio offerto in una “civile abitazione” Si segnala in chiusura una pronuncia della Suprema Corte, che sembra invero manifestare un indirizzo interpretativo parzialmente differente rispetto a quello indicato: sempre in tema di esercizio dell'attività di bed and breakfast in condominio, i giudici di legittimità hanno infatti escluso che possa in tal caso parlarsi di cambio di destinazione d'uso dell'unità immobiliare in esso ubicata, in quanto tale attività si fonda sul fatto che il servizio è offerto in una civile abitazione (Cass. civ. 20 novembre 2014, n. 24707). In tale fattispecie, a fronte dell'apertura da parte di alcune condomine di un'attività di bed & breakfast negli appartamenti di loro proprietà, il condominio le aveva citate in giudizio per contrarietà di detta attività alla previsione regolamentare secondo cui «è fatto divieto di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato». Soccombente in appello, il condominio ricorreva davanti alla Suprema Corte, la quale ha tuttavia confermato la correttezza della pronuncia impugnata, nella parte in cui aveva rilevato che «la disposizione regolamentare, tenuto conto che la destinazione a civile abitazione costituisce il presupposto per la utilizzazione di una unità abitativa ai fini dell'attività di bed and breakfast (affermazione, questa, coerente con il quadro normativo di riferimento: art. 2, lett. a, del regolamento regionale Lazio n. 16 del 2008 , in cui si chiarisce che “l'utilizzo degli appartamenti a tale scopo non comporta il cambio di destinazione d'uso ai fini urbanistici"; in proposito, vedi anche Corte cost. sent. n. 369 del 2008), non precludesse la destinazione delle unità di proprietà esclusiva alla detta attività ». Tale sentenza lascerebbe dunque intendere che l'espresso divieto all'esercizio dell'attività in questione in un'unità in condominio debba risultare in maniera specifica ed inequivocabile da una clausola regolamentare contrattuale. Fonte http://www.condominioweb.com/bed--breakfast-in-condominio.11589#ixzz3mMXP4SjY www.condominioweb.com



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