pubblicato il 30/08/2018
Astio e minacce tra condòmini
La vicenda non è affatto insolita, ahimè. Tutti sappiamo che i rapporti di condominio, complice la convivenza protratta nel tempo, spesso possono deteriorare a tal punto da varcare le aule di tribunale.
Si badi, non si tratta sempre e solo del tribunale civile, dove, si sa, i rapporti di vicinato costituiscono una buona fetta delle liti; tanto che anche per questo le controversie in materia di condominio sono tra quelle per le quali si è tentato di ridurre il contenzioso mediante la mediazione civile obbligatoria di cui all'art. 5, D.Lgs. n. 28/2010.
Quel che è peggio, infatti, è che può succedere, che i litiganti trascendano financo nel penale.
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Il codice penale prevede illeciti di diversa entità: tra le fattispecie criminose più gravi che possono trovare con più probabilità adito in condominio, si pensi allo stalking, il quale anzi ha trovato una specifica qualificazione nello stalking condominiale (v. ad es. Cass. n. 20895/2011); per quelle meno gravi, si pensi invece al reato di cui parliamo qui, cioè al reato di minaccia.
Nel caso qui in commento, deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 28567/2018, la condotta incriminata era consistita nell'affermazione della frase, che si riporta con un certo imbarazzo: "Si...guarda, te la farò pagare, brutta troia".
Tale frase, ricondotta nelle circostanze di fatto in cui è stata espressa, è stata ritenuta dai giudici, appunto, idonea ad integrare la fattispecie criminosa della minaccia.
Reato di minacce
L'illecito in parola è quello previsto dall'art. 612 c.p., secondo cui "Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032.
Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno.
Si procede d'ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339."
I modi indicati dall'art. 339 c.p. sono quelli delle circostanze aggravanti, quali, ad es. se la minaccia è commessa con armi, da più persone, etc.
Minaccia e pessimi rapporti in condominio
Secondo il ricorrente in Cassazione, nel giudizio appunto deciso dalla sentenza n. 28567/2018, la frase su citata non si sarebbe potuta ritenere idonea ad integrare la fattispecie criminosa: non poteva cioè qualificarsi tecnicamente come una minaccia, data la sua inidoneità intimidatoria; ad es. con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente contesta la ritenuta sussistenza, in sentenza di appello, "della minaccia di un danno ingiusto e della sua idoneità a turbare la libertà psichica della persona offesa": la condotta non sarebbe idonea, insomma, ad integrare un male ingiusto né a menomare la sfera di libertà morale.
Secondo i giudici dell'appello, invece, al di là della volgarità dell'espressione, l'effetto di minaccia reale ed attuale - in ogni caso insito nella frase "te la farò pagare" era da ricondursi "al complicato rapporto di vicinato fra le parti, sicché la parte offesa poteva fondatamente temere che il vicino di casa Lo., proprio in virtù di tali cattivi rapporti e della sua condizione di condomino, avrebbe potuto recarle danno".
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In sostanza, la circostanza che i due si odino da anni e che abitino vicino poteva indurre la condòmina a temere con fondamento che il vicino avrebbe potuto danneggiarla. Se l'episodio si fosse verificato tra due estranei, quindi, le conclusioni non sarebbero state le stesse.
Minaccia e libertà morale
Interrogata dunque sul punto, la Corte di Cassazione conferma la giustezza della sentenza della Corte di appello richiamando il principio - più volte affermato dalla giurisprudenza con riferimento all'illecito in parola - secondo cui "la minaccia è penalmente rilevante quando sia tale da incidere sulla libertà morale del soggetto passivo, indipendentemente dagli effetti ottenuti"; in tal senso la Corte fa riferimento alla sentenza n. 46528/2008, nonché alla costante giurisprudenza di legittimità.
In particolare, la sentenza n. 46528/2008, decise che, perché si potesse ritenere integrato il reato di minacce, non era importante che il soggetto che subiva la condotta potesse sentirsi intimidito, essendo sufficiente che la condotta adottata dall'agente fosse potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo.
Insomma, come è stato detto ad es. in un'altra sentenza (Cass. n. 31693/2001), non è necessario che uno stato di intimidazione "si verifichi concretamente nella vittima, bastando - poiché si tratta di reato di pericolo - la sola attitudine ad intimorire"; peraltro, in quella sentenza si faceva riferimento, quale elemento atto all'intimidazione, proprio alla convivenza quotidiana, unita in quel caso alla gerarchia del rapporto di lavoro: in quel caso la frase incriminata era stata "questa me la paga, me la lego al dito ...".
La stessa frase detta in contesti diversi può subire una diversa valutazione, da parte della vittima e dunque anche da parte dei giudici; se il contesto può far presumere una concreta realizzabilità di quanto minacciato è un conto; se, al contrario il contesto porta ad escludere detta realizzabilità, viene meno l'idoneità intimidatoria (v. Cass. n. 17470/2018).
Fonte https://www.condominioweb.com/astio-e-minacce-tra-condomini.15049#ixzz5Pe5kGdXI
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