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21/09/2015

Regolamento contrattuale e divieto di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva a determinati usi


In tema di condominio degli edifici e nell'ipotesi di violazione del divieto contenuto nel regolamento contrattuale di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva dell'edificio condominiale a determinati usi, l condominio può richiedere la cessazione della destinazione abusiva sia al conduttore che al proprietario locatore.

Peraltro, nell'ipotesi di richiesta nei confronti del conduttore, si verifica una situazione di litisconsorzio necessario con il proprietario, che deve partecipare al giudizio in cui si controverte in ordine all'esistenza e alla validità del regolamento: infatti, le limitazioni all'uso delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, derivanti dal regolamento contrattuale di condominio, in quanto costituiscono oneri reali o servitù reciproche afferiscono immediatamente alla cosa.




21/09/2015

Regolamento di condominio. Natura assembleare o natura contrattuale. Contenuto delle clausole. Divieti, limiti e quorum deliberativi.


L’art. 1138, primo comma, c.c. impone nei condomini con più di dieci comproprietari, l’adozione di un regolamento.

Questa, quindi, è la prima regola in materia di regolamenti: solo al superamento di una determinata soglia è obbligatoria l’adozione, negli altri casi è facoltativa.

Che cos’è il regolamento di condominio?

A che cosa serve?

Come può essere approvato?

Chi è tenuto a rispettarlo?

Quali le maggioranze per la sua modificazione?

Sono queste le domande più ricorrenti in materia.

Innanzitutto, dando risposta al primo quesito è possibile dire che il regolamento è una sorta di statuto interno al condominio che serve a disciplinare, usando un termine generico, la gestione delle parti comuni.

Per capire fino in fondo a che cosa serva un regolamento è necessario, prima di tutto, operare una distinzione tra due tipologie regolamentari:

a)il c.d. regolamento di condominio assembleare;

b)il c.d. regolamento di condominio contrattuale.

Quello assembleare, ai sensi dell’art. 1138, primo comma, c.c. deve contenere esclusivamente “le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione”. Per approvarlo è sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi del valore dell’edificio.

Esso deve essere rispettato da tutti i condomini e l’obbligo di rispetto si estende automaticamente anche agli aventi causa ed agli eredi (art. 1107 c.c.)

Un esempio: la legge (art. 66 disp. att. c.c.) impone che l’avviso di convocazione dell’assemblea debba essere comunicato almeno 5 giorni prima rispetto alla data di svolgimento. Il regolamento assembleare potrà prevedere un termini diverso (comunque mai minore).

Il regolamento contrattuale, invece, oltre a rispettare il contenuto minimo previsto per quello assembleare, permette di adottare delle norme ulteriori, ed in alcuni casi derogatorie, rispetto a quanto previsto dalla legge; allo stesso modo sarà lecito introdurre limiti ai diritti sulla proprietà esclusiva.

L’esempio classico, per il primo caso, è quello delle deroghe alla ripartizione delle spese condominiali. Così un regolamento contrattuale potrà prevedere che le spese per la manutenzione delle scale debbano essere suddivise in parti uguali non sulla base dell’art. 1124 c.c.

Per i limiti si pensi al divieto di destinare la propria unità immobiliare ad ufficio o a detenere animali .

Per essere valido, il regolamento contrattuale deve essere sottoscritto da tutti i partecipanti al condominio o quanto meno accettato da parte di tutti quanti attraverso un richiamo espresso contenuto nell’atto d’acquisto.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha avuto modo di sottolineare che una volta effettuata la prima compravendita, se il regolamento, già accettato, viene anche trascritto nei pubblici registri immobiliari, allora varrà per tutti i successivi acquirenti, indipendentemente dalla sua accettazione. La trascrizione, infatti, lo rende opponibile ai terzi (Cass. 17 marzo 1994, n. 2546).

In questo contesto si è soliti parlare di regolamento di origine assembleare e di regolamento di origine contrattuale.

Per la modificazione del primo nulla quaestio: le clausole possono essere modificate con le stesse maggioranze previste per l’approvazione.

Per il secondo caso, fino al 1999 la situazione era dubbia.

La Corte di Cassazione, intervenendo per dirimere un contrasto interpretativo sorto in relazione al binomio origine del regolamento – modificazione dello stesso, ha spostato la sua attenzione dalla origine del documento alla sua natura, o meglio ancora alla natura delle sue clausole.

In tale contesto, le Sezioni Unite del Supremo Collegio hanno affermato che: “a determinare la contrattualità dei regolamenti, siano esclusivamente le clausole di essi limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive (divieto di destinare l'immobile a studio radiologico, a circolo ecc...) o comuni (limitazioni all'uso delle scale, dei cortili ecc.), ovvero quelle clausole che attribuiscano ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto agli altri (sent.nn. 208 del 1985,3733 del 1987,854 del 1997).Quindi il regolamento predisposto dall'originario, unico proprietario o dai condomini con consenso totalitario può non avere natura contrattuale se le sue clausole si limitano a disciplinare l'uso dei beni comuni pure se immobili”(così Cass. SS.UU. 30 dicembre 1999 n. 943).

In definitiva mentre un regolamento assembleare non può mai essere contrattuale, quest’ultimo in relazione al contenuto delle sue clausole può avere quella natura.

Ciò significa che anche il regolamento contrattuale in alcune sue clausole (o in tutte a seconda della loro natura) potrà essere modificato con le maggioranze richieste per la modifica di quello assembleare.


Fonte http://www.condominioweb.com/per-capire-fino-in-fondo-a-che-cosa-serva-un-regolamento-e.225#ixzz3mMg2oios
www.condominioweb.com


21/09/2015

Cassazione n. 22596/10: l'interpretazione del regolamento condominiale è compito spettante al giudice chiamato a decidere della causa.


Il regolamento di condominio, sia esso di natura assembleare o negoziale, per trovare giusta applicazione deve essere correttamente interpretato. Quali sono i canoni cui fare riferimento per l’interpretazione del regolamento? La Cassazione è costante nell’affermare che, qualunque sia la natura dello statuto del condominio, " il Giudice deve osservare gli stessi canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 cod. civ. e segg., per la interpretazione degli atti negoziali, avendo questi validità generale" (Cass. 23 gennaio 2007 n. 1406).

Partendo da questo presupposto la Suprema Corte, con la sentenza n. 22596 resa lo scorso cinque novembre 2010, ha dato giustizia in un caso relativo proprio all’interpretazione del regolamento di condominio. In particolare tutto il giudizio di legittimità – relativo ad una sentenza emessa da una Corte d’Appello a seguito dell’annullamento di un proprio precedente è pronunciamento stabilito dalla Cassazione – ruota attorno alla corretta interpretazione d’una clausola d’un regolamento condominiale d’origine contrattuale.

In breve il fatto: Tizio condomino proprietario di alcune soffitte, al momento della loro ristrutturazione ingloba nelle stesse un corridoio che Caio, altro condomino, riteneva comune. Il giudizio relativo a tale controversia si concludeva con una pronuncia della Cassazione che annullando la sentenza della Corte d’appello statuiva la non condominialità di quel corridoio posto che lo stesso serviva solamente alcune unità immobiliari senza assumere alcuna utilità per la collettività condominiale. Nel giudizio di rinvio, quindi, Caio insisteva per vedere accolta la propria domanda di remissione in pristino specificando che le opere, comunque, erano state eseguite in violazione di un articolo del regolamento condominiale contrattuale che sottoponeva qualsiasi intervento modificativo dell’edificio all’ottenimento di una preventiva autorizzazione dell’amministratore. Secondo la Corte d’appello, chiamata a pronunciarsi a seguito dell’annullamento della sentenza, “ il citato permesso doveva […] essere rilasciato dall'amministratore e non dall'assemblea il che evidenziava che non si verteva in tema di diritti soggettivi all'esecuzione, ma solo di una norma procedimentale destinata a regolare l'armonico contemperamento delle facoltà di godimento dei condomini dello stabile; che inoltre l'amministratore, una volta informato al pari dell'assemblea, non aveva ritenuto di proporre alcuna reazione” (così Corte d’appello di Torino citata in Cass. 5 novembre 2010 n. 22596).

Da qui il giudizio di Cassazione teso a ottenere la constatazione dell’illegittimità dell’interpretazione del regolamento condominiale fornita dal giudice del gravame in relazione al carattere procedimentale e non sostanziale del permesso da richiedersi all’amministratore. La Corte regolatrice, tuttavia, ha respinto il ricorso proposto. In primis, affermano gli ermellini, “ va ribadito il principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l'interpretazione di un regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione” (Cass. ult. cit.). In questo contesto, prosegue la Cassazione, “ il procedimento logico-giuridico sviluppato nell'impugnata decisione è ineccepibile, in quanto coerente e razionale, ed il giudizio di fatto in cui si è concretato il risultato dell'interpretazione della norma regolamentare in questione è fondato su un'indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e sorretto da motivazione, adeguata ed immune dai vizi denunciati. Il giudice di secondo grado ha quindi svolto coerentemente il compito interpretativo affidatogli indicando minuziosamente le ragioni che gli hanno consentito di pervenire alle riportate conclusioni”( Cass. 5 novembre 2010 n. 22596).

In sintesi: in presenza di un’interpretazione del regolamento ineccepibile fornita dai giudici di merito il ricorso per Cassazione diventa superfluo.




21/09/2015

Regolamento di condominio e clausole vessatorie, istruzioni per l'uso


La legge non fornisce la definizione di regolamento di condominio, limitandosi a specificarne contenuto e obbligatorietà rispetto al numero di condomini.
Secondo dottrina e giurisprudenza, che hanno colmato questa lacuna, “il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione (accettazione da parte dei singoli acquirenti delle unità immobiliari condominiali del regolamento predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio oppure deliberazione dell'assemblea dei condomini votata con la maggioranza di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c.), si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto convenzionale del condominio, che ne disciplina la vita e l'attività come ente di gestione (ferma l'inderogabilità di alcune norma concernenti specifici aspetti della disciplina legislativa), come atto volto ad incidere su di un “rapporto plurisoggettivo” concettualmente unico con un complesso di regole giuridicamente vincolanti per tutti i condomini” (Scorzelli, Renato Scorzelli, Il regolamento di condominio, FAG, 2007, in giurisp. Cass. 29 novembre 1995 n. 12342).
Il regolamento può essere:
a) assembleare, quando è votato da in assemblea con le maggioranze di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c.;
b) contrattuale, quando è accettato da tutti condomini per iscritto (si pensi ai regolamenti predisposti dall'originario unico proprietario dell'edificio;
c) giudiziale, quando è formato dall'Autorità giudiziaria (per una disamina sull'ammissibilità di tale forma di regolamento, cfr. A. Gallucci, Il condominio negli edifici, Cedam, 2013).


Fatta questa premessa di carattere generale entriamo nel merito dell'argomento di carattere, come si suole dire, giusconsumeristico.
Quando una clausola contenuta nel regolamento di condominio o una clausola contenuta nel contratto di acquisto e riguardante il regolamento condominiale può considerarsi vessatoria?
In più occasioni la Cassazione ha considerato nulle quelle clausole contrattuali nelle quali è prevista l'adesione del compratore ad un regolamento contrattuale da redigersi ad opera del costruttore. Il regolamento, dice la Cassazione (cfr. Cass. 11 aprile 2014 n. 8606), può vincolare l'acquirente solo se, successivamente alla sua redazione, quest'ultimo vi presti adesione.
In ogni caso si può chiedere l'accertamento giudiziale della vessatorietà di tutte quelle clausole che pongono nel rapporto uno squilibrio tra costruttore e compratore (neo-condomino).
Si pensi a quelle clausole che prevedono un impegno definitivo del consumatore mentre l'esecuzione della prestazione del professionista e' subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà. Quale esempio più lampante delle clausole che subordinano il pagamento delle spese condominiali all'allaccio delle utenze o alla cessione “di un tot” di unità immobiliari?
Certo è che nel caso in cui un condomino dovesse far valere la nullità di una clausola di regolamento contrattuale, siccome esso dev'essere considerato un contratto a tutti gli effetti, dovrà chiamare in giudizio tutti gli altri condomini, rientrano quest'azione nell'ambito di quelle così dette a litisconsorzio necessario.
Sicuramente nulle, infine, ma non perché vessatorie, quanto piuttosto per violazione dell'art. 1138 c.c., sono le clausole che riservano al costruttore la prima nomina dell'amministratore condominiale.




21/09/2015

Valore legale del timbro postale


In tema di data certa di un documento, ossia di possibilità di riscontrare con certezza giuridicamente rilevante la data nel quale il documento è stato formato, o quanto meno il giorno nel quale poteva dirsi già esistente, un ruolo importante è svolto anche dal timbro postale.
Una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 17335 del 31 agosto 2015, ci ricorda il perché.
Partiamo dalla disciplina legislativa contenuta nel codice civile in merito alla certezza della data dei documenti.
Il primo comma dell'art. 2704 del codice civile recita:
La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l'hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento.
La registrazione di cui parla la norma è quella presso l'agenzia delle entrate. La disciplina della registrazione e del pagamento della correlata imposta, o meglio la disciplina degli atti soggetti a registrazione obbligatoria, facoltativa ed in caso d'uso, è contenuta nel d.p.r. n. 131/86.
L'art. 2704 c.c. appena citato, oltre alla registrazione fa riferimento ad altri accadimenti o elementi dai quali possa desumersi la certezza della data. In particolare l'inciso finale della norma fa riferimento ad ogni altro fatto che consenta di stabilire con certezza l'anteriorità, rispetto ad esso, della formazione del documento.
In questo contesto s'inserisce la correlazione tra timbro postale e documento sul quale è apposto.
Nella pronuncia della Suprema Corte citata in principio, che si rifà ad un precedente degli stessi ermellini, si legge che “qualora la scrittura privata non autenticata formi un corpo unico col foglio sul quale è impresso il timbro postale, la data risultante da quest'ultimo è data certa della scrittura, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio equivale ad attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita: mentre grava sulla parte che contesti la certezza della data l'onere di provare - pur senza necessità di querela di falso - che la redazione del contenuto della scrittura è avvenuta in un momento diverso (Cass. 28 maggio 2012, n. 8438)” (Cass. 31 agosto 2015 n. 17335).
Far apporre un timbro postale su un foglio, quindi, vuol dire avere la prova che il documento sul quale quel timbro postale è impresso è stato formato precedentemente all'apposizione stessa.
Questa soluzione, conosciuta dai più ma spesso messa in dubbio senza effettivo fondamento, consente di datare con certezza un determinato documento rispetto al quale è utile avere questa prova.


Fonte http://www.condominioweb.com/qual-%E8-il-valore-legale-del-timbro.12086#ixzz3mMN7W6wO
www.condominioweb.com



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