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F.A.Q. Condominio, Domande e Risposte frequenti sull'Amministrazione Condominiale




Danni da infiltrazioni, come quantificarli?
In tema di danni da infiltrazioni, qual è la misura del risarcimento che il proprietario dell'unità immobiliare danneggiata può chiedere al custode della cosa dalla quale tale danno proviene? La questione non è di poco conto, in quanto un'infiltrazione, apparentemente limitata in uno specifico punto di uno dei vani dell'abitazione, potrebbe causare un danno ben più ampio. Come dire: non sempre la misura del risarcimento può essere limitata a mettere una pezza laddove il danno sia stato maggiore in termini sostanziali della puntuale individuazione della parte ammalorata. La questione, che sovente crea litigi in quanto il danneggiante ritiene esagerate le richieste del danneggiato, è stata trattata dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 12920 depositata in cancelleria il 23 giugno 2015. Vediamo in che modo. Prima di entrare nel merito è utile ricordare che il caso di danno da infiltrazioni rappresenta una classica ipotesi di danno da cose in custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c. In pratica il custode del bene dal quale proviene il danno (e che non sia mero elemento di passaggio della causa stessa del nocumento, ad esempio il piano intermedio tra quello danneggiato e quello da cui proviene il danno stesso) è responsabile di tali danni a titolo di responsabilità obiettiva, ossia è sempre responsabile, eccezion fatta per le ipotesi di caso fortuito. Questa la conclusione cui, ormai da anni, giunge la Suprema Corte di Cassazione quando viene investita di cause aventi ad oggetto danni da infiltrazioni (cfr. tra le tante Cass. 10 ottobre 2012 n. 17268). Quale danno va risarcito? Esempio: dall'appartamento di Tizio provengono infiltrazioni nell'appartamento sottostante, di proprietà di Caio. Quest'ultimo richiede al vicino di eliminare la causa dell'infiltrazione ed a titolo di risarcimento la somma di € 2.000,00. Egli ritiene che l'intervento che dovrà eseguire non può essere limitato alla sola ritinteggiatura della parte danneggiata, ma al rifacimento della vernice di tutta la stanza. Motivo? Era stata ritinteggiata da poco e la "pezza" consistente nella sistemazione della sola parte ove era apparsa la macchia sarebbe evidente. L'esempio è nella sostanza il riassunto della questione che ha portato alla sentenza della Cassazione n. 12920. Come ha concluso la Corte? Secondo gli ermellini "il proprietario di un immobile, il quale domandi il risarcimento dei danni ad esso cagionati in conseguenza delle infiltrazioni provenienti da un appartamento sovrastante, essendo state danneggiate talune parti che, per esigenze di uniformità, richiedano un più esteso intervento ripristinatorio delle condizioni di normale abitabilità del bene rispetto ai singoli punti danneggiati, ha diritto di conseguire il rimborso dell'intera somma occorrente per tale lavoro, trattandosi di esborso necessario per la totale eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell'illecito, che non può essere addossato al danneggiato stesso" (Cass. 23 giugno 2015 n. 12920). Come dire: Tizio fa bene a chiedere 2.000,00 euro. Chiaramente laddove la stanza non fosse stata tinteggiata a nuovo ma fosse in stato non buono, il giudice non potrebbe non tenere conto di questa circostanza. Danni da infiltrazioni da parti comuni, perché sono responsabili tutti i condòmini in solido? In sostanza se da un lato il danneggiato non può vedersi pregiudicato per gli effetti indiretti del danno da infiltrazione (ossia dover di nuovo dipingere l'intera stanza per non fare vedere la differenza), allo stesso modo il danneggiante non può sobbarcarsi il costo dei miglioramenti complessivi di cui il danneggiato di avvantaggerebbe dopo il danno stesso (cioè non si può addossare al danneggiante l'intero costo del miglioramento - leggasi rinnovo tinta delle pareti - che s'è deciso di eseguire in conseguenza delle infiltrazioni al fine di non fare notare la differenza). Si tratta del così detto principio, di creazione dottrinario-giurisprudenziale della così detta compensatio lucri cum damno "in virtù del quale la quantificazione del danno risarcibile deve tener conto degli eventuali vantaggi per il danneggiato che traggono origine direttamente" (Fonte: E-glossa http://www.e-glossa.it/wiki/''compensatio_lucri_cum_damno''.aspx). Fonte http://www.condominioweb.com/come-quantificare-i-danni-da-infiltrazione.11937#ixzz3mMUdbJId www.condominioweb.com


Dove e a chi notificare l'atto di citazione in giudizio del condominio?
Quando si deve chiamare in causa un condominio per una qualunque controversia che veda la compagine parte interessata, a quale indirizzo si deve far notificare l'atto di citazione al fine di ritenere ritualmente effettuata la suddetta comunicazione? Alla domanda, di recente, ha risposto la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 17474 resa il 2 settembre 2015. Che cos'è un condominio? Bella domanda, direbbe qualcuno. Bella domanda senza risposta certa, aggiungiamo noi. Perché? Perché la legge non chiarisce, dal punto di vista della gestione, se il condominio debba essere considerato un soggetto di diritto, oppure nulla. Per anni s'è sentito dire che il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti. Poi, correva l'anno 2008, la Cassazione diede un brusco stop a questa impostazione: in quell'occasione (cfr. Cass. SS.UU. n. 9148/08) gli ermellini sentenziarono che condominio ed ente di gestione non hanno nulla in comune e che il condominio, giuridicamente parlando, non esiste. La legge n. 220/2012 (la così detta riforma del condominio) potrebbe aver smosso questa situazione. Non è raro (nella pur limitata quantità di sentenze rese dopo l'entrata in vigore della legge) trovarsi davanti a pronunce giurisprudenziali che considerano il condominio un entità distinta dai singoli partecipanti, sia pur senza avere autonoma personalità giuridica. Un centro d'imputazione d'interessi, si dice. Nuova legge, nuove sentenze, nuova vita al condominio? In questo contesto e comunque in qualunque contesto lo si guardi, il condominio, quando ne è dotato, è rappresentato da un amministratore, ossia da un mandatario che pone in essere atti giuridicamente rilevanti in nome e per conto dei suoi rappresentati. Ne discende che la notifica dell'atto debba essere fatta all'amministratore? Certamente, almeno questo sembra disporre anche il secondo comma dell'art. 1131 c.c. E dove si può notificare l'atto? Al riguardo la Corte di Cassazione ha affermato che “la notifica di un atto indirizzato al condominio, qualora non avvenga nelle mani dell'amministratore, può essere validamente fatta nello stabile condominiale soltanto qualora in esso si trovino locali destinati allo svolgimento ed alla gestione delle cose e dei servizi comuni (come ad esempio la portineria), idonei, come tali, a configurare un ufficio dell'amministratore, dovendo, in mancanza, essere eseguita presso il domicilio privato di quest'ultimo” (Cass. n. 11303/2007). In buona sostanza: in primis è bene indirizzare l'atto presso l'ufficio dell'amministratore e solo eventualmente, ad esempio perché si sa che c'è un portiere (Cass. n. 377/1988), presso lo stabile. In questo contesto la così detta targa dell'amministratore dovrebbe aiutare ad individuare l'indirizzo giusto. E se il condominio non ha un amministratore? A chi notificare l'atto di citazione in giudizio? A tutti i condòmini? Ad un solo di essi? Oppure? Al riguardo le soluzioni sono due: a) poiché il condominio non ha personalità giuridica, nessun condomino, senza regolare nomina, può essere considerato rappresentante degli altri e quindi se non v'è amministratore l'atto dovrà essere notificato a tutti gli interessati, cioè a tutti i condòmini; b) in alternativa si può seguire la procedura indicata dall'art. 65 disp. att. c.c. che consente di chiedere al Tribunale la nomina di un curatore che rappresenti tutti i condòmini. Fonte http://www.condominioweb.com/latto-di-citazione-in-giudizio-a-chi-va-notificato.12080#ixzz3mMTIYICl www.condominioweb.com


E' nulla la notifica di atti tributari fatta al condomino vicino di casa?
La notificazione eseguita, ai sensi dell'art. 139 c.p.c., a persona non legata al destinatario da rapporti "di famiglia", cioè di parentela o di affinità, nè di servizio, quale "addetta alla casa", è da considerare nulla anche se, come nel caso di specie, tale persona sia trovata nell'abitazione del destinatario; mentre è stata ritenuta valida la notifica nel diverso caso di non provata convivenza (che può essere presunta), quando però sussista la relazione di parentela o affinità fra il destinatario e la persona che ricevette la notifica.


E' possibile imporre il divieto di presenza di moschee o sinagoghe e/o di altri luoghi di culto in un condominio?
Moschee, Sale del Regno ed altri simili luoghi di culto. Quando fanno capolino nei locali a piano terra, quasi sempre con accesso diretto dalla strada pubblica, qualcuno storce il naso. Non sono questi il momento e la seda di affrontare analisi sociologiche sulla tolleranza delle così dette religioni minoritarie e sul grado di integrazione in Italia. Ciò nonostante vale la pena comprendere se chi ritiene sgradite quelle presenze (il riferimento è solamente al rumore ed al fastidio arrecato dalle assemblee) possa decidere di ottenerne la rimozione. La risposta, la diamo fin da subito per poi spiegarne il perché, è negativa: moschee ed altri luoghi di culto non possono essere “cacciati” dal condominio. Di più: la loro presenza non può essere vietata a priori. Sicuramente un simile divieto non può essere contenuto nel regolamento assembleare; esso, lo si sa, serve solamente a regolamentare la gestione delle parti comuni, la ripartizione delle spese, l’uso delle cose comuni ed in genere quelle sulla tutela del decoro dell’edificio. Limitare i diritti dei singoli sulle cose di proprietà esclusiva non può essere oggetto di normazione per un simile atto. Diversa la situazione, qualcuno potrebbe pensare, per il regolamento contrattuale. La giurisprudenza, costantemente, ha avuto modo di affermare che “l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che limitano il diritto dominicale di tutti o alcuni dei condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, nell'interesse di tutto il condominio o di una sua parte, e che vietano, in particolare, a tutti o ad alcuni dei condomini di dare alle singole unità immobiliari una o più destinazioni possibili, ovvero li obbligano a preservarne le originarie destinazioni per l'utilità generale dell'intero edificio, o di una sua parte" (Cass. 19 ottobre 1998 n. 10335). In sostanza si potrebbe essere indotti a concludere le modo seguente: i regolamenti contrattuali possono vietare la presenza in condominio di luoghi di culto. Errato. Perché? La risposta è semplice: la libertà di culto, che si estrinseca anche nella possibilità di partecipare liberamente ai riti e di non vederli impediti assurge a diritto fondamentale garantito dalla nostra Costituzione. Insomma i contratti non possono limitarlo. In questo contesto è utile domandarsi: le riunioni devono comunque rispettare determinate norme? Al riguardo è interessante ricordare una sentenza del Tribunale di Roma. Era il maggio del 2011 quando il Tribunale capitolino, in materia di suono delle campane, specificò che deve “la vicinanza tra le strutture parrocchiali e l’immobile abitato dai ricorrenti, agevolmente evincibile anche dalla rappresentazione aerea dei luoghi (all. 1 produzione parte ricorrente) e l’orario mattutino dello scampanio sono circostanze valorizzabili per inferire una valenza immissiva del conseguente suono che, in ragione della sua protrazione, anche se estesa – secondo l’assunto di parte resistente – per circa quarantacinque secondi al detto orario indubbiamente mattutino, appare travalicare la tollerabilità; le concorrenti esigenze, di tranquillità dei ricorrenti e di richiamo della parrocchia (estrinsecazione, quest’ultima, del diritto all’esercizio del culto, assistito da garanzia sia costituzionale (art. 7) che legislativa, espressa, quest’ultima, dall’art. 2 della legge 25.03.1985 n. 121, recante le modifiche al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929) appaiono contemperabili ed entrambe perseguibili nella presente sede cautelare restringendo temporalmente lo scampanio delle ore 7,00 entro i venti secondi di rintocchi” (Trib. Roma 9 maggio 2011). Detta diversamente: pregare si, ma senza disturbare oltremodo il vicinato Fonte http://www.condominioweb.com/moschee-o-altri-luoghi-di-culto-in-un-condominio.1431#ixzz3mMaqhFO3 www.condominioweb.com


Edificio in condominio "senza condominio": che cosa fare quando bisogna prendere delle decisioni importanti?
Non ci sono dati certi ma la realtà quotidiana ci parla di tanti, tantissimi condominii che non superano nove, dieci partecipanti che (nonostante gli obblighi di legge per quelle compagini con almeno nove condomini, cfr. art. 1129, primo comma, c.c.) non hanno un amministratore, ma non solo: si tratta di compagini gestite in modo completamente anarchico. Quel condominio "senza condominio" di cui si parla nel titolo altro non è che la compagine che pur esistendo non s'è mai stata gestita come imporrebbe la legge. In questi contesti, solitamente, un condomino volenteroso paga le bollette, chiedendo ai suoi vicini le somme per farlo, si occupa della piccola manutenzione o comunque chiama mestieranti d'ogni genere o chiede alle ditte di eseguire i lavori senza particolari attenzioni alle norme. Il tutto, solitamente, condito dalla classica divisione dei costi in parti uguali. (Ripartire le spese condominiali secondo i criteri di leggi o le decisioni dei condomini) Queste situazioni possono andare avanti per anni senza particolari intoppi. Accade, poi, che il palazzo necessita di interventi più consistenti, insomma di essere sottoposta alla ben nota manutenzione straordinaria; ed è li che, l'armonia lascia spazio a tensioni e complicazioni. Che cosa fare in questi casi? A dire il vero la tensione può sorgere anche solamente per il disinteresse di uno o più condomini verso le parti comuni. In buona sostanza le soluzioni che andremo ad indicare è auspicabile siano poste in essere fin dalla nascita del condominio. Proprio da quest'ultimo punto è bene partire. Nascita del condominio Il condominio non è un'associazione, una fondazione o una società: il condominio è una situazione di fatto riconosciuta a livello giuridico, il condominio è una particolare forma di comunione nella quale coesistono parti di proprietà esclusiva (le unità immobiliari) e parti comuni funzionali al godimento delle prime. (La definizione del condominio dal punto di vista gestionale) In questo contesto " il condominio sorge ipso iure et facto, e senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni, nel momento in cui l'originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano, aliena a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, perdendo, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell'edificio" (così Cass. 4 ottobre 2004, n. 19829). Il condominio, quindi, esiste fin dal momento in cui ci sono due proprietari. Stando così le cose è questo il momento in cui è necessario formalizzarne l'esistenza anche a livello fiscale. Il condominio deve richiedere il codice fiscale e se non lo si fa i responsabili ( ergo i condomini) rischiano sanzioni (cfr. art. 13 d.p.r. n. 605/73). In buona sostanza siccome il condominio esiste fin da subito e siccome le decisioni riguardanti le parti comuni devono essere prese in assemblea (salvo il caso dell'accordo tra tutti), se la gestione non va, o meglio proprio per farla andare sempre bene, è utile che si faccia tutto secondo le ordinarie regole. Carta e penna e convocazione dell'assemblea (anche da parte di ciascun condomino se non v'è amministratore) nei modi e nei termini di cui all'art. 66 disp. att. c.c. A maggior ragione se devono essere prese decisioni economicamente rilevanti. Fonte http://www.condominioweb.com/condominio-senza-condominio-che-cosa-fare-in-questi-casi.1905#ixzz3mMYb5yRk www.condominioweb.com



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