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F.A.Q. Condominio, Domande e Risposte frequenti sull'Amministrazione Condominiale




L'amministratore può farsi coadiuvare nell'adempimento delle sue mansioni delegandole ad un sostituto?
L'amministratore del condominio può nominare un capo scala per riscuotere le quote condominiali e i pagamenti relativi ai consumi dell'acqua. Il soggetto, scelto da lui o dai condomini riuniti in assemblea, ha il compito di eseguire determinate mansioni ad esso attribuite. Si tratta di una figura molto simile a quella del consiglio dei condomini e le cui mansioni sarebbero limitate all'oggetto specifico dei compiti assegnatigli dall'assemblea o dal regolamento. L'amministratore risponde delle eventuali responsabilità che possono derivare dal suo operato.


Le sanzioni nel regolamento di condominio: le multe indirette devono essere considerare illegittime?
Il primo comma dell'art. 1138 c.c. specifica che: " Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione". In dottrina e giurisprudenza si è soliti distinguere tra due tipologie di regolamento: a) quello assembleare, che viene approvato dall'assise con le stesse maggioranze previste per la nomina dell'amministratore (voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all'assemblea e almeno 500 millesimi);: b) quello contrattuale, che deve essere approvato da tutti i condomini. Nel primo caso il contenuto dev'essere conforme a quanto stabilito dal primo comma dell'art. 1138 c.c.; nella seconda ipotesi le parti possono prevedere limitazioni agli usi delle parti di proprietà comune ed esclusiva. Ma che cos'è esattamente il regolamento? Secondo la dottrina " il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione (accettazione da parte dei singoli acquirenti delle unità immobiliari condominiali del regolamento predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio oppure deliberazione dell'assemblea dei condomini votata con la maggioranza di cui all'art. 1136, secondo comma, c.c.), si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto convenzionale del condominio, che ne disciplina la vita e l'attività come ente di gestione (ferma l'inderogabilità di alcune norma concernenti specifici aspetti della disciplina legislativa), come atto volto ad incidere su di un "rapporto plurisoggettivo" concettualmente unico con un complesso di regole giuridicamente vincolanti per tutti i condomini" (Scorzelli, Il regolamento di condominio, Fag,2007). Sulla stessa lunghezza d'onda la Corte di Cassazione (cfr. Cass. 29 novembre 1995 n. 12342). In questo contesto vale la pena soffermarsi sulla possibilità, per il regolamento, d'infiggere sanzioni pecuniarie. Ai sensi dell'art. 70 disp. att. c.c. " Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento. La somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie". Nel corso degli anni questa norma non è mai stata aggiornata sicché la sanzione massima oggi applicabile è pari a 5 cents/euro. Ciò detto è bene evidenziare un aspetto non secondario: per sanzioni pecuniarie non bisogna intendere solamente quelle che prevedono una multa per un comportamento scorretto ma anche quelle che surrettiziamente impongono l'addebito di costi per altro genere di "punizione" si pensi, su tutte, alla rimozione del veicolo con annesso addebito dei costi per l'intervento del carro attrezzi. Sorvolando sull'illegittimità d'un simile dispositivo (in assenza di situazione d'urgenza né l'amministratore, né l'assemblea possono incidere su beni di proprietà esclusiva), vale la pena evidenziare che l'addebito del costo rappresenterebbe una sanzione indiretta. Esso in sostanza potrebbe essere contestato così come potrebbe essere impugnata la deliberazione che lo sancisce. Fonte http://www.condominioweb.com/possibilita-per-il-regolamento-dinfiggere-sanzioni-pecuniarie.929#ixzz3mMct6DUT www.condominioweb.com


Le spese per la manutenzione dei box le paga chi è proprietario dei box?
In tema di ripartizione delle spese per la manutenzione degli spazi comuni ai box auto di proprietà esclusiva, se il regolamento condominiale riserva la proprietà di questi spazi ai titolare di posti auto, i costi necessari per gli interventi conservativi devono essere suddivisi solamente tra di essi. Questa, in sintesi, il cuore della sentenza n. 17268 resa dalla Corte di Cassazione il 28 agosto 2015. La titolarità della spesa per gli spazi comuni ai box ai titolari di questi ultimi, chiosa la Cassazione, comporta la nullità della delibera assembleare che a maggioranza abbia derogato ai suddetti criteri previsti da un regolamento contrattuale. Il caso che ha portato alla pronuncia della sentenza in esame è di quelli ricorrenti. Un condominio chiede ed ottiene un decreto ingiuntivo di pagamento contro uno dei condòmini per il mancato pagamento degli oneri condominiali. Il condomino ingiunto non ci sta e propone opposizione: a suo modo di vedere alcune di quelle spese non sono dovute. Quali sono i requisiti per l'emissione di un decreto ingiuntivo? In particolare per l'opponente (è questo in gergo tecnico il nome che identifica chi si oppone ad un decreto ingiuntivo) lamenta l'imputazione di alcune spese riguardanti la manutenzione delle corsie di manovra dei box. A suo modo di vedere rispetto a quell'intervento manutentivo a lui non è possibile domandare alcunché in quanto dal regolamento condominiale si evince chiaramente che le spese per quelle parti dell'edificio devono essere suddivise solamente tra i proprietari dei box auto e lui tale non è. Il Giudice di Pace, in primo grado, ed il Tribunale, in funzione di giudice d'appello, gli danno ragione: il proprietario di un appartamento che non sia anche titolare di un box auto, in quel condominio non deve pagare le spese di manutenzione degli spazi manovra perché il regolamento condominiale lo esclude. Da qui il ricorso in Cassazione. Per gli ermellini la pronuncia impugnata (la sentenza del Tribunale) era da confermarsi. Motivo? Si legge in sentenza che era evidente come le norme del regolamento condominiale non prevedessero “espressamente la partecipazione di condomini che non sono proprietari di box (e/o autorimesse) alle spese di ordinaria o straordinaria manutenzione degli spazi di manovra ed accesso relativi a tali unità immobiliari di proprietà soltanto di taluni condomini" (Cass. 28 agosto 2015 n. 17268). In questo contesto, afferma la Cassazione, “le delibere relative alla ripartizione delle spese sono nulle, se l'assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifica i criteri stabiliti dalla legge o, in via convenzionale, da tutti i condomini” e tali nullità può essere fatta valere in ogni tempo senza per forza ricorrere alle modalità d'impugnazione previste dall'art. 1137 c.c. e quindi anche nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Resta una domanda di carattere generale. Le spese di manutenzione degli spazi di manovra dei box auto sono solamente a carico dei proprietari degli spazi di sosta anche in assenza di una specifica norma contenuta in un regolamento condominiale? Al riguardo non esiste una risposta univoca e molto dipende dalla conformazione dell'edificio e dalla parte oggetto dell'intervento conservativo. In buona sostanza se il parcheggio è interrato ed è un tutt'uno con l'edificio, i proprietari di unità immobiliari non titolari di box dovranno partecipare alle spese che riguardano parti comuni a tutti l'edificio (es. muri portanti), restando a carico dei proprietari dei posti auto le spese per quelle parti di edificio che hanno esclusiva utilità per loro.


Lecita l'attività di affittacamere? se il regolamento vieta solamente di mutare la destinazione d'uso...
Se il regolamento condominiale vieta di mutare la destinazione d’uso delle unità immobiliari da uso abitativo ad uso commerciale, o quanto meno a determinati usi non abitativi, deve ritenersi lecita l’attività di affittacamere esercitata da uno dei condomini. Questa, in estrema sintesi, la conclusione cui è giunta la Corte d’appello di Roma con la sentenza n. 6390 del 19 dicembre 2012. Naturalmente si parla di regolamenti contrattuali poiché, com’è noto, quelli assembleari non possono incidere sui diritti dei singoli sulle parti comuni o su quelle individuali. In buona sostanza, secondo il giudice che ha emesso la sentenza, poiché l’attività di affittacamere consente di lasciare invariata la destinazione d’uso a civile abitazione, essa può essere svolta tranquillamente. Il Tribunale, nel giudizio di primo grado, era arrivato a tutt’altra conclusione ossia aveva intimato la sospensione dell’attività di affittacamere. La Corte d’appello ha ribaltato quella decisione. Si legge nella sentenza n. 6390 che la decisione del giudice di prime cure “non può essere condivisa innanzitutto perché non autorizzata dalla lettera della norma contrattuale che si limita a far riferimento alla formale destinazione d'uso delle unità immobiliari e poi nemmeno da una interpretazione logica e/o sistematica dell'art. (…) del regolamento condominiale che sarebbe da un lato inammissibile, perché non può essere consentita alcuna limitazione del diritto di proprietà dei singoli condomini se non in forza di espressa previsione ed analitica specificazione dei limiti che si intendono porre, e dall'altro in contrasto con la lettura della norma costantemente data dai condomini nella sua concreta e costante applicazione. Infatti, si continua a leggere nella sentenza, Basta osservare che è stata pacificamente consentita nelle unità immobiliari del complesso condominiale, tra le altre, l'attività di una scuola, quella di altra attività para-alberghiera, la presenza di attività commerciali o di agenzie di assicurazione e tollerata per circa cinque anni la stessa attività dell'odierna appellante (…), attività tutte, ad eccezione di quella di affittacamere, riferite un uso diverso da quello consentito dall'art. 6 del regolamento condominiale e che comportano l'assidua frequentazione dello stabile condominiale da parte di terzi estranei, con le ovvie conseguenze anche in relazione all'uso dei beni comuni, ascensore compreso. Ne discende che l'attività di affittacamere esercitata dalle odierne appellanti nelle loro unità immobiliari, avendo mantenuto la destinazione d'uso per civile abitazione, è formalmente rispettosa dell'art. (…) del regolamento condominiale e che la stessa è del tutto ammissibile anche e soprattutto alla luce della concreta interpretazione ed applicazione della norma regolamentare costantemente data dagli altri condomini, in nulla aggravando in termini di maggior uso delle cose comuni e/o della sicurezza del contesto condominiale la situazione già da tempo determinatasi col pieno assenso di tutti gli aventi diritto” (Corte appello Roma 19 dicembre 2012 n. 6390). Insomma se non è chiaramente vietata, l’attività di affittacamere non può essere interdetta. Fonte http://www.condominioweb.com/quando-e-lecita-lattivita-di-affittacamere-in-condominio.1286#ixzz3mMbjPDgI www.condominioweb.com


L'interpretazione del regolamento è opera di competenza del giudice di merito?
Il condominio Alfa è dotato di un regolamento di natura contrattuale che specifica, non proprio chiaramente, quali siano le cose che devono essere considerate di proprietà comune. In considerazione di questa lacuna sorgono spesso contrasti in merito alla competenza dell’assemblea a prendere decisioni con riferimento alla conservazione d’un sottoscala. Non è chiaro, infatti, se questa parte dell’edificio debba essere considerata comune o di proprietà esclusiva di Tizio, titolare dell’appartamento Gamma. Sta di fatto che a seguito di alcune tensioni tra i comproprietari, la disputa sfocia in una causa. In entrambi i gradi di merito i giudici, sulla base dello stato degli atti, convengono che il sottoscala deve’essere considerato parte di proprietà comune: il sottoscala dev’essere considerato di proprietà comune e quindi l’assemblea del condominio ha tutto il diritto di decidere cosa è giusto. Il condomino, a quel punto, fa ricorso in Cassazione: il giudice d’appello ha mal interpretato il regolamento. Ebbene questo ricorso non sempre può essere considerato fondato: il motivo ruota tutto attorno a ciò che si chiede al giudice di legittimità. Per spiegare meglio quest’ultima frase prendiamo a prestito un passaggio di una recente sentenza della Corte di Cassazione resa in materia d’interpretazione degli atti d’acquisto di edifici in condominio in relazione all’individuazione delle parti comuni; in sostanza un caso analogo a quello che abbiamo usato come esempio. Si legge nella sentenza che “ l'opera dell'interprete, infatti, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d'ermeneutica contrattuale posti dall'art. 1362 c.c., e segg., oltre che per vizi di motivazione nell'applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell'ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea - anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente - la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d'una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d'argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839,21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753)” (Cass. 20 febbraio 2012 n. 2412)



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