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F.A.Q. Condominio, Domande e Risposte frequenti sull'Amministrazione Condominiale




Il regolamento vieta ai condomini di apportare varianti di qualsiasi genere?
Se il regolamento condominiale vieta ai condomini di apportare varianti di qualsiasi genere alle pareti esterne del fabbricato, la caldaia per il riscaldamento non può essere collocata sulla facciata condominiale anche se non altera l’aspetto estetico. Nella sentenza si legge: "Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, lett. m) del regolamento di condominio, in relazione al concetto di “variante” e alla portata restrittiva e vincolante del regolamento stesso. Sotto il primo profilo si deduce che il termine “variante”, riportato nella citata previsione, deve essere inteso in senso tecnico-edilizio, come documento che mira a modificare una concessione precedente o un progetto o un piano regolatore già approvato. Sotto il secondo aspetto, si sostiene che la norma del regolamento condominiale in questione non presenta le caratteristiche per restringere le facoltà contenute nel diritto di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in quanto è equivoca, foriera di interpretazioni discordanti, non adeguatamente prescrittiva e superata, successivamente, dalla comune intenzione delle parti e da contrastanti usi condominiali. 1.1. - Il motivo è infondato in entrambe le censure in cui si articola. Occorre innanzi tutto precisare che la titolazione del motivo è da ritenere erronea, come pure l’affermazione che il regolamento condominiale in oggetto sia “una integrazione del codice civile” (v. pag. 7 del ricorso). Il regolamento di condominio che abbia natura (o meglio origine) contrattuale (o esterna) come nella specie ha ritenuto la Corte d’appello, con accertamento non oggetto di censura - è in ogni caso atto di produzione essenzialmente privata anche nei suoi effetti tipicamente regolamentari, incidenti, cioè, sulle sole modalità di godimento delle parti comuni dell’edificio. A conferma di ciò può osservarsi che - come si ritiene in dottrina - il giudice può approvare il regolamento formato su iniziativa di un condominio, ex art. 1138, comma 2 c.c., ma non predisporlo a propria cura; che nel caso di sua adozione giudiziale l’efficacia cogente del regolamento nei confronti dei condomini dissenzienti è mediata dall’art. 2909 c.c. (cfr. Cass. n. 1218/93); e che l’estensione dell’efficacia di esso anche a coloro i quali non presero parte alla sua formazione è attuata propter rem, lì dove, per contro, il dovere di osservanza di un atto (eteronomo e dunque) propriamente normativo prescinde, per il grado di generalità ed astrattezza che lo assiste, da una necessaria ambulatorietà passiva. Pertanto, le norme del regolamento condominiale contrattuale non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità sotto il profilo della violazione o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.. Deve ulteriormente rilevarsi, quindi, che il motivo in esame deve essere riqualificato e riguardato soltanto sotto il n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., nei limiti in cui ne offre spunto. 1.1.1.- Con la prima censura parte ricorrente contesta l’interpretazione che la Corte d’appello ha fornito della citata norma del regolamento condominiale quanto alla nozione di “variante” ivi contenuta, che si sostiene debba essere intesa nell’accezione tecnico-giuridica di cui all’art. 32 D.P.R. n. 380/01, recante il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. Sebbene non menzionato (e richiamato, invece, in ordine alla seconda censura) l’unico criterio ermeneutico astrattamente coordinabile con il senso della critica è costituito dall’art. 1362 c.c. e dal principio dell’interpretazione letterale come tecnica primaria di verifica della volontà delle parti. Ciò posto, e data la frequente polisemia delle parole d’uso corrente (nei sistemi linguistici indoeuropei), è compito del giudice di merito valutare se una data espressione sia stata adoperata dalle parti secondo l’una o l’altra accezione possibile, fermo restando che proprio l’esclusa sindacabilità della norma condominiale sotto il profilo della violazione di legge estromette, quale surrettizia riedizione di un controllo di tal genere, l’ipotesi che detta interpretazione debba avvenire necessariamente e prioritariamente favorendo i significati tecnico-giuridici. 1.1.1.1. - Nello specifico, la sentenza impugnata ha attribuito alla parola ‘”variante” un significato non tecnico, ma di senso comune e di portata più ampia. La Corte subalpina ha osservato, infatti, che con il vietare “qualsiasi variante” l’art. 5, lett. m) del regolamento di condominio non è volto soltanto ad evitare interventi o varanti di natura sostanzialmente straordinaria, insite nel concetto di variante propugnato dalla parte (in allora) appellante, ma è diretta a comprimere anche interventi di più modesta portata costruttiva o di minore impatto estetico, che tuttavia introducano, per le singole porzioni in proprietà esclusiva, un uso personalistico delle parti comuni dell’edificio, nello specifico le pareti esterne, che verrebbero invece singolarmente caratterizzate proprio dalle esigenze di ciascun condomino, con sostanziale alterazione e turbamento della complessiva uniformità estetica e funzionale dell’edificio. Tale motivazione è da ritenere senz’altro sufficiente e congrua, poiché da un lato coerente al senso comune delle parole adoperate nella previsione regolamentare, e dall’altro adeguatamente esplicativa delle ragioni per cui non è stata ritenuta plausibile la tesi del rimando ad una nozione tecnico-giuridica dell’espressione in esame. 1.1.2. - Anche la seconda censura del primo motivo è priva di basi sotto il profilo del vizio motivazionale. La Corte territoriale, infatti, ha osservato, quanto all’assertivo rilievo di condotte condominiali pregresse di segno contrario al divieto di cui all’art. 5, lett. m) del regolamento, che comportamenti ispirati a scarso rispetto di norme regolamentari di per sé chiare non potrebbero assurgere ad interpretazione delle stesse, allorché anche un singolo condomino manifesti il proprio dissenso, lamentandone la specifica violazione, nell’esercizio del proprio diritto sulle parti comuni; e che prassi o usi contrattuali non potrebbero modificare il regolamento, per difetto del requisito di forma scritta ad substantiam. Motivazione, questa, del tutto congrua anche in rapporto alla dedotta non prescrittività della disposizione, ove si consideri che o la norma del regolamento non possiede sufficiente chiarezza e univocità, ed allora neppure si pone il problema dei limiti e della forma richiesta per modificarla, essa dovendosi considerare come improduttiva di effetti; o la medesima è in sé valida ed efficace, ed allora resta intatta e non scalfibile l’osservazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui ogni modificazione richiede la forma scritta e sono irrilevanti, ai fini interpretativi, le condotte non comuni a tutti i condomini. 2. - Con il secondo motivo la sentenza d’appello è censurata per insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 n. 5 c.p.c.. Si sostiene al riguardo che la Corte subalpina da un lato ha affermato che se non fosse affermata l’operatività dell’art. 5, lett. m) del regolamento condominiale le pareti esterne dell’edificio potrebbero essere alterate nella loro uniformità estetica dall’intervento dei singoli condomini, dall’altro ha ritenuto condivisibile l’assenza d’impatto estetico, essendo state realizzate le due nicchie in maniera tale da mimetizzarsi con la facciata dell’edificio. Pertanto, deduce parte ricorrente, delle due l’una: o la modifica della facciata ha alterato le strutture portanti dell’edificio, oppure tale alterazione è praticamente invisibile dal punto di vista estetico, e dunque irrilevante. 2.1. - Il motivo è infondato, perché non coglie la ratio decidendi. Il giudice d’appello, invero, pur condividendo “del tutto incidentalmente” che le opere eseguite dai P. - V. non avessero avuto in concreto alcun impatto estetico sull’edificio, ha tuttavia osservato - ben vero per mero scrupolo di completezza, visto che gli odierni ricorrenti avevano formulato un motivo di gravame sovrabbondante, non avendo il giudice di primo grado fondato la sua decisione sull’alterazione delle componenti estetiche della parete condominiale - che era irrilevante l’insussistenza della violazione della diversa norma del regolamento (art. 5, lett. h) che vieta innovazioni che alterino l’aspetto esteriore dell’edificio. La Corte subalpina, cioè, si è limitata a condividere il giudizio espresso dal Tribunale, ossia che il divieto netto e tassativo dì cui all’art. 5, lett. m) non sarebbe comunque superabile da alcuna valutazione positiva circa l’assenza d’impatto estetico delle opere controverse. Deve, pertanto, escludersi ogni contraddittorietà della motivazione." Fonte http://www.condominioweb.com/condominio/sentenza1940.ashx#ixzz3mMf6BFKb www.condominioweb.com


Il Riscaldamento in condominio. Come funziona e come comportarci?
L'accensione del riscaldamento centralizzato negli stabili in condominio suscita spesso dei litigi e polemiche: la sensibilità al freddo é, per alcuni aspetti, soggettiva. Ed anche le diverse esigenze e stili di vita portano a delle necessità di riscaldamento diverse che spesso sono incompatibili fra loro. E’ diversa l’esigenza di un pensionato che è sempre in casa e che la sera va a letto presto da quella di una persona che torna a casa solo la sera tardi. E da queste ovvie necessità nascono le discussioni su quanto e come deve essere acceso l’impianto di riscaldamento. Pochi sanno che il periodo di accensione degli impianti di riscaldamento condominiali e' regolato dall'articolo 9 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 412 del 26/8/1993, che prima di tutto ordina che gli impianti di riscaldamento debbano essere gestiti in maniera tale da non superare le temperature sancite dall'art. 4 dello stesso DPR, ovvero 20 gradi (circa, c'e' una certa tolleranza). Per quanto riguarda invece orari e periodo di accensione, il territorio italiano viene diviso in sei zone climatiche: Zona A: 6 ore giornaliere dal I dicembre al 15 marzo; Zona B: 8 ore giornaliere dal I dicembre al 31 marzo; Zona C: 10 ore giornaliere dal 15 novembre al 31 marzo; Zona D: 12 ore giornaliere dal I novembre al 15 aprile; Zona E: 14 ore giornaliere dal 15 ottobre al 15 aprile; Zona F: nessuna limitazione.Tali valori, e' bene precisarlo, sono i valori massimi di servizio: nessuna Legge impone un minimo, a parte in alcuni casi che non hanno interesse per i nostri lettori. Al di fuori di tali periodi gli impianti termici possono essere attivati solo in presenza di situazioni climatiche che ne giustifichino l'esercizio. Se desiderate conoscere a quale zona climatica appartiene la vostra zona, su internet esiste un elenco più dettagliato del nostro elenco più dettagliato messo a disposizione dalla confedilizia in http://www.confedilizia.it/clima-ZONE.htm L’accensione continua è concessa solo ad impianti di nuovo tipo, formati da una caldaia ad alto rendimento e provvisti di cronotermostato, agli impianti con contabilizzazione del calore, a teleriscaldamento, a riscaldamento a pavimento e a quelli sottoposti a un contratto di servizio energia stipulato con un’impresa che si assume la responsabilità del controllo. In linea di massima (soprattutto nelle zone più fredde, a partire dalla lettera "c", l’assemblea nella delibera di accensione dell’impianto (e nell’approvazione del relativo preventivo di gestione) utilizza il massimo delle ore consentite dalla Legge. Ma non è escluso in qualche assemblea fatta da “risparmiatori” si possa validamente deliberare di erogare il servizio per un orario ridotto rispetto a quello massimo. Ed in questo caso, se la delibera è presa dalla maggioranza ed il regolamento di condominio non dispone altrimenti, c’è poco da fare se non provvedere ad una integrazione del riscaldamento erogato privatamente e con delle stufe. Un problema invece che si presenta spesso e' quello della doppia accensione dell'impianto: da un lato un gruppo di condomini pretende che l'impianto venga acceso sia la mattina che il pomeriggio, in modo da svegliarsi e coricarsi al caldo, mentre invece altri, con diverse esigenze, preferiscono che le ore destinate al riscaldamento vengano consumate in un'unica soluzione. In realtà questa seconda soluzione, dal punto di vista del risparmio, e' più conveniente per i condomini: nel caso della doppia accensione si consuma una certa quantità di combustibile in più per far si che l'acqua calda che riscalda l'impianto per ben due volte raggiunga la temperatura di esercizio partendo da freddo. Comunque l’articolo 9 comma 3 risolve ogni contestazione, chiarendo che “E' consentito il frazionamento dell'orario giornaliero di riscaldamento in due o più sezioni” (ad esempio: mattina e sera). Anche questa decisione deve essere presa dall’assemblea dei condomini a maggioranza. Ma se da un lato sappiamo adesso quali sono i limiti massimi di accensione, i veri problemi debbono ancora emergere: uno dei più comuni, ad esempio, e' quello del condomino che, nonostante l'impianto di riscaldamento sia acceso, "ha freddo".In primo luogo questi condomini debbono controllare il loro appartamento, eliminando tutti quei fattori che possono portare ad una perdita di calore (finestre che chiudono male, tapparelle non ben coibentate) ed installando quegli accorgimenti che possono migliorare la tenuta del calore (doppi vetri, pannelli termoriflettenti dietro i termosifoni, aumento della superfice radiante). Se anche questo non basta, il condominio dovrà intervenire: infatti la giurisprudenza e' costante nello statuire il diritto del condomino affinché l'impianto di riscaldamento sia strutturato in modo da assicurare, nelle ore di accensione, un uniforme riscaldamento a tutti gli appartamenti, anche per mezzo di una maggiore fruizione del servizio comune (ad esempio: aumentare la superficie radiante)


Il sindaco non può vietare il recapito nelle cassette della posta dei singoli condomini. Quindi?
Il sindaco non dispone dei poteri per disciplinare/vietare l’attività di recapito nelle cassette postali, o per subordinare al possesso di un titolo autorizzativo lo svolgimento di un’attività deve ritenersi libera anche presso abitazioni e domicili privati. Nella specie il Sindaco ha erroneamente “accomunato attività diverse quali il recapito nelle cassette postali, o in quelle a ciò dedicate, ed volantinaggio per strada e/o la distribuzione su autoveicoli in sosta o circolazione”, appropriandosi illegittimamente di competenze che non gli appartengono. Fonte http://www.condominioweb.com/condominio/sentenza2215.ashx#ixzz3mMbx3Pvw www.condominioweb.com


La canna fumaria deve essere rimossa se altera l'estetica del fabbricato?
L'apposizione di una canna fumaria e della relativa struttura di copertura che immuta lo stato della cosa comune ed eccede i limiti segnati dalle concorrenti facoltà dei compossessori ex art. 1102 c.c., in particolare, l'analogo uso da parte di questi ultimi, risulta illegittima. E' quanto riaffermato dalla Suprema Corte, con la sentenza resa in data 24.08.2015, n. 17072, la quale si rivela particolarmente interessante perché affronta diverse questioni relative al compossesso del bene comune. La vicenda trae origine dall'installazione, su un muro comune, di una canna fumaria relativa ad un impianto di riscaldamento che, a dire di altri due condomini, alterava la facciata condominiale (corte interna) di un palazzo di pregio, nonché diminuiva la visibilità superiore della finestra del loro appartamento, siccome posta ad una distanza ridotta all'anzidetta apertura. Rigettata in primo grado la domanda dei due condomini tesa alla rimozione della canna fumaria, in appello, la sentenza veniva completamente ribaltata, con la condanna al ripristino dello stato dei luoghi. La controversia, quindi, veniva definitivamente risolta con la decisione della Suprema Corte, sopra richiamata, la quale confermava la sentenza di secondo grado. Nel giudizio di legittimità, la società/condomina ricorrente rilevava, tra l'altro, la circostanza per la quale la corte di merito non aveva tenuto in alcuna considerazione la volontà della stessa di internare a proprie spese la canna fumaria, nonché il proprio diritto all'utilizzo del muro comune, anche per assolvere alla primaria funzione di riscaldare il proprio appartamento e, quindi, la violazione dell'art. 1102. La Corte di Cassazione, nel ritenere i suddetti motivi infondati, evidenzia come la volontà di ripristinare lo stato dei luoghi, non esclude la turbativa nel possesso, possesso che peraltro prescinde dalla verifica sua legittimità. Tanto è vero che, richiamando dei propri risalenti precedenti, afferma come: “... la doglianza di mancata valutazione della circostanza di essersi offerta di internare la canna fumaria, anche per la funzione primaria del riscaldamento rispetto alla utilizzazione dei locali di sua proprietà, trattandosi di elemento di giudizio che non vale ad escludere l'elemento psicologico della turbativa, al pari della necessità di riscaldare l'appartamento, in quanto nel giudizio possessorio assume rilievo esclusivo la situazione di fatto esistente al momento dello spoglio o della turbativa, rimanendo estranea ogni questione relativa alla legittimità del possesso e, in particolare, alla sua rispondenza ad un titolo legittimo (v. Cass. 3 febbraio 1998 n. 1040; Cass. 28 febbraio 1989 n. 1087; Cass. 21 maggio 1987 n. 4625)”. Entrando nel merito la Suprema Corte osserva come, nel condominio degli edifici, per i beni comuni vige, in favore di tutti i condomini, un compossesso pro-indiviso. L'esercizio dell'anzidetto compossesso può esercitarsi in due modi differenti, a seconda che il bene comune sia oggettivamente utile alle singole unità immobiliari cui è collegato materialmente o per funzione (suolo, fondazioni, muri maestri, oggettivamente utili per la statica) ovvero quando sia soggettivamente utile nel senso che la sua unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attività dei rispettivi proprietari (portone, anditi, scale, ascensore ecc.). Nel primo caso, il possesso viene esercitato con il beneficio che il piano o la porzione di piano trae da tale utilità, nel secondo caso, con l'esercizio della predetta attività da parte del proprietario. Evenienze queste che danno esclusivo rilievo alle situazione di fatto, prescindendo dall'esistenza, o meno, di un legittimo titolo per l'esercizio del possesso. “Ciò posto, il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di tutela possessoria quando uno di loro abbia alterato e violato, senza il consenso degli altri condomini ed in loro pregiudizio, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o da restringere il godimento spettante a ciascun compossessore pro indiviso sulla cosa medesima (Cass. 26 gennaio 2000 n. 855; Cass. 11 marzo 1993 n. 2947; Cass. 21 luglio 1988 n. 4733; Cass. 18 luglio 1984 n. 4195). La modifica di una parte comune e della sua destinazione ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini, legittima di conseguenza gli altri condomini all'esperimento dell'azione di reintegrazione per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato in modo che essa possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione, senza che sia necessaria la specifica prova del possesso di detta parte quando risulti che essa consista in una porzione immobiliare in cui l'edificio si articola (Cass. 13 luglio 1993 n. 7691)”. Nel caso concreto si è accertato, con apprezzamento non censurabile in cassazione, che la canna fumaria aveva dimensioni non trascurabili, allocata in una sovrastruttura apposta nella facciata del palazzo condominiale priva di qualsiasi pregio architettonico o funzionale in relazione alla parete esterna dell'edificio, motivo per il quale alterava notevolmente l'estetica dell'edificio, quand'anche bisognevole di manutenzione; peraltro, era stato anche accertato che l'ingombro della struttura provocava ombra sulla finestra dell'appartamento diminuendone, pertanto, la luminosità. Conclude, pertanto, la Suprema Corte affermando come: “… l'uso particolare che il comproprietario faccia del bene comune non può considerarsi estraneo alla destinazione normale dell'area, a condizione però che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l'utilizzazione del cortile praticata dagli altri comproprietari, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del bene medesimo un analogo uso particolare (cfr. Cass. 20 agosto 2002 n. 12262; Cass. 17 maggio 1997 n. 4394). La sentenza impugnata da conto proprio della inesistenza di tale condizione ed in particolare della alterazione della destinazione naturale dell'area occupata con la struttura contenente la canna fumaria e per tale ragione ha ritenuto commettere molestia la società che aveva immutato lo stato di fatto degradando gravemente l'estetica dell'edificio ed alterando precedenti facoltà di utilizzazione da parte degli altri condomini, in particolare dei resistenti. Del resto le denotate modalità (obiettive) dell'aggressione possessoria disvelavano, a chiare note, la sussistenza, in capo alla ricorrente del c.d. animus turbandi il quale, come è dato ormai acquisito, consiste nella volontarietà del fatto compiuto a detrimento dell'altrui possesso, contro il divieto espresso anche solo presunto del possessore e si profila, in linea di massima, tutte le volte che in concreto si colgono gli estremi della turbativa, rendendosi normalmente irrilevante l'eventuale convinzione dell'autore di questa di esercitare propri diritti (cfr Cass. n. 8829 del 1997; Cass. n. 22414 del 2004). Né risultano dimostrati nella specie gli argomenti esposti, quali l'impossibilità di una diversa collocazione della canna fumaria, oltre alla necessità ed urgenza di detta collocazione”. Pertanto, la lesione del decoro architettonico nonché la diminuzione della luminosità dell'appartamento dei resistenti, impongono la rimozione della canna fumaria. Fonte http://www.condominioweb.com/la-canna-fumaria-va-rimossa-se-altera-lestetica.12068#ixzz3mMW1r9QA www.condominioweb.com


L'Amministratore ha il potere di irrogare sanzioni pecuniarie ai condomini?
Al fine di attivarsi per far cessare gli abusi, l’amministratore non necessita di alcuna previa delibera assembleare, posto che egli è già tenuto ex lege (articolo 1130 comma 1 C.c.) a curare l’osservanza del regolamento del condominio al fine di tutelare l’interesse generale al decoro,a lla tranquillità ed all’abitabilità dell’edificio; ed è altresì nelle sue facoltà, ai sensi dell’articolo 70 disp. att. Cc, anche quella di irrogare sanzioni pecuniarie ai condomini responsabili di siffatte violazioni del regolamento ove lo stesso preveda tale possibilità.



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