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30/08/2018

Minacce tra condòmini che si odiano da tempo


Astio e minacce tra condòmini

La vicenda non è affatto insolita, ahimè. Tutti sappiamo che i rapporti di condominio, complice la convivenza protratta nel tempo, spesso possono deteriorare a tal punto da varcare le aule di tribunale.

Si badi, non si tratta sempre e solo del tribunale civile, dove, si sa, i rapporti di vicinato costituiscono una buona fetta delle liti; tanto che anche per questo le controversie in materia di condominio sono tra quelle per le quali si è tentato di ridurre il contenzioso mediante la mediazione civile obbligatoria di cui all'art. 5, D.Lgs. n. 28/2010.

Quel che è peggio, infatti, è che può succedere, che i litiganti trascendano financo nel penale.

=> Classifica delle liti in condominio

Il codice penale prevede illeciti di diversa entità: tra le fattispecie criminose più gravi che possono trovare con più probabilità adito in condominio, si pensi allo stalking, il quale anzi ha trovato una specifica qualificazione nello stalking condominiale (v. ad es. Cass. n. 20895/2011); per quelle meno gravi, si pensi invece al reato di cui parliamo qui, cioè al reato di minaccia.

Nel caso qui in commento, deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 28567/2018, la condotta incriminata era consistita nell'affermazione della frase, che si riporta con un certo imbarazzo: "Si...guarda, te la farò pagare, brutta troia".

Tale frase, ricondotta nelle circostanze di fatto in cui è stata espressa, è stata ritenuta dai giudici, appunto, idonea ad integrare la fattispecie criminosa della minaccia.

Reato di minacce

L'illecito in parola è quello previsto dall'art. 612 c.p., secondo cui "Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032.

Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno.

Si procede d'ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339."

I modi indicati dall'art. 339 c.p. sono quelli delle circostanze aggravanti, quali, ad es. se la minaccia è commessa con armi, da più persone, etc.

Minaccia e pessimi rapporti in condominio

Secondo il ricorrente in Cassazione, nel giudizio appunto deciso dalla sentenza n. 28567/2018, la frase su citata non si sarebbe potuta ritenere idonea ad integrare la fattispecie criminosa: non poteva cioè qualificarsi tecnicamente come una minaccia, data la sua inidoneità intimidatoria; ad es. con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente contesta la ritenuta sussistenza, in sentenza di appello, "della minaccia di un danno ingiusto e della sua idoneità a turbare la libertà psichica della persona offesa": la condotta non sarebbe idonea, insomma, ad integrare un male ingiusto né a menomare la sfera di libertà morale.

Secondo i giudici dell'appello, invece, al di là della volgarità dell'espressione, l'effetto di minaccia reale ed attuale - in ogni caso insito nella frase "te la farò pagare" era da ricondursi "al complicato rapporto di vicinato fra le parti, sicché la parte offesa poteva fondatamente temere che il vicino di casa Lo., proprio in virtù di tali cattivi rapporti e della sua condizione di condomino, avrebbe potuto recarle danno".

=> Condannata per diffamazione la condomina che offende i vicini.

In sostanza, la circostanza che i due si odino da anni e che abitino vicino poteva indurre la condòmina a temere con fondamento che il vicino avrebbe potuto danneggiarla. Se l'episodio si fosse verificato tra due estranei, quindi, le conclusioni non sarebbero state le stesse.

Minaccia e libertà morale

Interrogata dunque sul punto, la Corte di Cassazione conferma la giustezza della sentenza della Corte di appello richiamando il principio - più volte affermato dalla giurisprudenza con riferimento all'illecito in parola - secondo cui "la minaccia è penalmente rilevante quando sia tale da incidere sulla libertà morale del soggetto passivo, indipendentemente dagli effetti ottenuti"; in tal senso la Corte fa riferimento alla sentenza n. 46528/2008, nonché alla costante giurisprudenza di legittimità.

In particolare, la sentenza n. 46528/2008, decise che, perché si potesse ritenere integrato il reato di minacce, non era importante che il soggetto che subiva la condotta potesse sentirsi intimidito, essendo sufficiente che la condotta adottata dall'agente fosse potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo.

Insomma, come è stato detto ad es. in un'altra sentenza (Cass. n. 31693/2001), non è necessario che uno stato di intimidazione "si verifichi concretamente nella vittima, bastando - poiché si tratta di reato di pericolo - la sola attitudine ad intimorire"; peraltro, in quella sentenza si faceva riferimento, quale elemento atto all'intimidazione, proprio alla convivenza quotidiana, unita in quel caso alla gerarchia del rapporto di lavoro: in quel caso la frase incriminata era stata "questa me la paga, me la lego al dito ...".

La stessa frase detta in contesti diversi può subire una diversa valutazione, da parte della vittima e dunque anche da parte dei giudici; se il contesto può far presumere una concreta realizzabilità di quanto minacciato è un conto; se, al contrario il contesto porta ad escludere detta realizzabilità, viene meno l'idoneità intimidatoria (v. Cass. n. 17470/2018).



Fonte https://www.condominioweb.com/astio-e-minacce-tra-condomini.15049#ixzz5Pe5kGdXI
www.condominioweb.com


29/08/2018

Ristrutturazione edilizia e gravi difetti dell'edificio


In tema di gravi difetti di un edificio, la cattiva esecuzione di interventi di ristrutturazione edilizia può portare all'affermazione di responsabilità per gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c. anche se la situazione preesistente era già compromessa.

Questa, in breve sintesi, la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 14290 pubblicata, mediante deposito in cancelleria, il 4 giugno 2018.

Una pronuncia importante ed utile vista la sempre più frequente fattispecie che vede imprese edili acquistare vecchi edifici, demolirli solo parzialmente, per poi ricostruirli e rivenderli.

Il principio in sostanza è il seguente: chi compie questo genere di operazioni risponde dei gravi difetti, sulle parti dell'edificio oggetto di ristrutturazione edilizia, come se si trattasse di una nuova costruzione, poiché l'attività di ristrutturazione - di per sé invasiva e rilevante - deve essere eseguita a regole d'arte.

L'aspetto che merita di essere affrontato prima di entrare nel merito della vicenda, quindi, è la nozione di ristrutturazione edilizia.

Ristrutturazione edilizia

La definizione tecnica di questo genere d'interventi è contenuta nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.

Il riferimento è alla lettera d) del primo comma dell'art. 3, a mente del quale per interventi di ristrutturazione edilizia s'intendono «gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.

Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria [e sagoma] di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente»

Come si ha modo di comprendere leggendo il dettagliato articolato della norma, si tratta di una vasta gamma d'interventi, molti dei quali considerabili vere e proprie nuove costruzioni.

Il caso: ristrutturazione edilizia di un lastrico

Nel caso risolto dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 14290 in commento, il proprietario di un appartamento faceva causa all'impresa edile che aveva demolito e ricostruito parte di un edificio vendendone, poi, le unità immobiliari.

In sintesi e al di là delle questioni preliminari afferenti alla proprietà di questa parte dell'edificio (secondo l'impresa edile non sua e comunque non oggetto di ristrutturazione, tesi smentita), l'attore richiedeva la condanna dell'impresa per gravi difetti del lastrico solare.

=> Una breve panoramica sul lastrico solare.

Ricordiamo che l'azione di responsabilità per gravi difetti - ai sensi dell'art. 1669 c.c. - è azione di natura extracontrattuale (come tale esperibile anche da chi non ha acquistato direttamente dal costruttore/venditore) per i difetti comparsi entro dieci anni dalla consegna del bene, purché ne sia fatta denuncia al costruttore entro un anno dalla scoperta e l'azione sia iniziata entro un anno da questa.

Gravi difetti nella ristrutturazione e responsabilità dell'appaltatore

La Corte di Cassazione ha dato ragione al proprietario dell'appartamento.

Si legge nell'ordinanza che «il venditore che, sotto la propria direzione e controllo, abbia fatto eseguire sull'immobile successivamente alienato opere di ristrutturazione edilizia ovvero interventi manutentivi o modificativi di lunga durata, che rovinino o presentino gravi difetti, ne risponde nei confronti dell'acquirente ai sensi dell'art. 1669 c.c.» (Cass. n. 18891/2017; conf. S.U. n. 7556/2017)» (Cass. 4 giugno 2018 n. 14290).

Un elemento, in chiusura, merita attenzione. La Corte di Cassazione, avallando il ragionamento svolto dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, ha ribadito che l'eventuale presenza di difetti di una parte dell'edificio già prima degli interventi di ristrutturazione non fa venire meno l'obbligo dell'appaltatore che ha eseguito la citata ristrutturazione di agire secondo le regole dell'arte.

=> Costruzione o ristrutturazione con materiale scadente

Si legge nell'ordinanza che pur essendo emerso nel corso della causa che «la terrazza fosse originariamente difettosa, ha riconosciuto [la Corte d'appello n.d.A.] che ciò non attenuava la responsabilità della società, che non aveva eseguito gli interventi che la situazione avrebbe richiesto».

Come dire: se una cosa è difettosa bisogna fare di tutto per eliminare o quanto meno ridurre al minimo il rischio che il difetto si ripresenti.



Fonte https://www.condominioweb.com/ristrutturazione-edilizia-e-gravi-difetti-delledificio.15051#ixzz5PYqAxt8c
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29/08/2018

Ripartizione spese manutenzione antenna TV condominiale


ual è il criterio di ripartizione delle spese per interventi di manutenzione dell'antenna TV condominiale?

Ce lo domanda un nostro lettore che aggiunge: «L'amministratore ha fatto richiesta della quota, allegando alla comunicazione il preventivo dell'impresa ed il relativo piano di ripartizione.

Abbiamo notato che la spesa è stata ripartita tra tutti i condòmini secondo i millesimi di proprietà.

Un mio vicino ha detto che gli porterà una sentenza dov'è scritto che la spesa va suddivisa in parti uguali. Chi ha ragione?»

=> Delibera d'installazione di un'antenna centralizzata, spesa obbligatoria per tutti?

Partiamo da una per noi - ormai sempre più doverosa - premessa. Le sentenze non sono articoli di legge. Brandire una sentenza è un fatto sempre più ricorrente, ma ahimè molto antipatico.

È vero, ci sono casi in cui portare come esempio una sentenza è utile, pensiamo a quelli in cui il pronunciamento è delle Sezioni Unite o rappresenta un orientamento unanime.

Ma una singola pronuncia, specie se di merito, non ha alcun valore indicativo, né vincolante. Insomma il condòmino potrà far valere le proprie ragioni appoggiandole ad una o più sentenze, ma l'amministratore non avrà obbligo di considerazione di quelle decisioni.

Soprattutto, mi par doveroso aggiungere, sarebbe bene portare l'informazione come elemento di valutazione, non a mo' di reprimenda sull'operato del mandatario.

Ma qui scivoliamo da un discorso giuridico ad uno d'educazione e quindi ci fermiamo.

Antenna TV condominiale

L'antenna TV è parte dell'impianto di ricezione del segnale radio-televisivo ed è condominiale a meno che il titolo (leggasi atti d'acquisto ovvero regolamento condominiale contrattuale) non dispongano altrimenti.

Condominiale ossia di tutti i condòmini, ma con il limite della proprietà in capo ai soli comproprietari che ne traggono utilità. Ciò in ossequio a quanto stabilito dall'art. 1123, terzo comma, c.c. a mente del quale «qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità».

La norma fu dettata in materia di ripartizione delle spese, ma ha dato la stura alla individuazione per via giurisprudenziale di una particolare forma di condominio nel condominio, ovvero il condominio parziale.

=> Condominio parziale, il vademecum della Cassazione

I box, per fare un esempio, solitamente non sono collegati all'impianto, né v'è la predisposizione per il loro collegamento ad esso. Ciò fa sì che si possa affermare che il proprietario di un box auto non è condòmino in relazione all'impianto TV e non può essere chiamato a rispondere delle spese per la sua manutenzione.

Spese manutenzione antenna TV

Il codice civile è carente - per molti gravemente - di chiare indicazioni applicative dei criteri di ripartizione delle spese.

Tale carenza è noto genera contenzioso o quanto meno contrato. Il caso portatoci dal nostro lettore è paradigmatico.

La giurisprudenza, specie di merito, è zeppa di pronunce sull'argomento - sovente contraddittorie tra loro - e questo fa sì che chi è interessato a far prevalere una propria visione possa utilizzarle pro domo sua.

Prendiamo il caso dell'antenna condominiale: in una risalente sentenza della Cassazione del 1969 (2 agosto 1969, n. 2916, non è nota la motivazione per esteso) si è affermato che è legittima la ripartizione delle spese in parti uguali.

Eppure rispetto ad un caso specifico, ossia rispetto alle spese di rifacimento di un tetto, la Corte di Cassazione ha affermato che queste spese «sono sostenute dai condomini, ai sensi dell'art. 1117 e 1123 codice civile, in proporzione al valore del piano o della porzione di piani appartenente a ciascuno in via esclusiva, salvo diversa convenzione, senza che sia applicabile il principio dell'art. 1101 in materia di comunione (in base al quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in egual misura, ove non risulti una diversa entità delle quote), trovando spiegazione la detta deroga nella funzione strumentale delle parti comuni dell'edificio in condominio rispetto alle parti in proprietà esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a servizio, consentendone la esistenza e l'uso» (così Cass. 29 aprile 1993 n. 5064 in Codici dell'edilizia, locazioni condominio, 3, 93).

Come dire: nemmeno se non ci sono le tabelle si può applicare un criterio di ripartizione in parti uguali. Ed allora perché dovrebbe valere per l'antenna TV, come qualcuno sostiene.

Il criterio di ripartizione paritario in condominio non è previsto dalla legge.

Ciò non vuol dire che in alcun casi non possa essere più equo rispetto a quelli delineati dal codice, ma se non v'è accordo tra tutte le parti, allora non potrà essere utilizzato.

L'amministratore del nostro lettore, quindi, ha operato correttamente, secondo chi scrive.



Fonte https://www.condominioweb.com/ripartizione-spese-manutenzione-antenna.15071#ixzz5PYpwU1aR
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28/08/2018

L'abbandono del ponteggio del cantiere determina un'occupazione di suolo pubblico abusiva non addebitabile al condominio


a vicenda. Il condominio beta aveva stipulato con la società alfa un contratto di appalto avente ad oggetto opere di risanamento dei prospetti esterni e corpi aggettanti di risanamenti, impermeabilizzazioni, pavimentazione, terrazzi lustri solari e varie, verso un corrispettivo di circa 330 mila euro.

I lavori in esame (montaggio e smontaggio) erano stati dall'appaltatrice affidati ad altra società gamma.

La causa dell'inadempimento della società alfa il contratto di appalto si era risolto nel febbraio 2018, ma l'Impresa gamma non aveva provveduto allo smontaggio dei ponteggi, nonostante le reiterate richieste della committenza, in tal modo cagionandole ingenti danni, conseguenti alla prosecuzione dell'occupazione di suolo pubblico.

La ditta appaltatrice aveva quindi incaricato altra impresa di procedere alle operazioni di smontaggio ma le operazioni erano state interrotte per volontà della società gamma proprietaria dei ponteggi che si era dichiarata disponibile a far rimuovere la struttura solo previo pagamento di una ingente somma.

Per i motivi esposti, il condominio mediante ricorso d'urgenza (ex. art. 700 c.p.c.) ha chiesto di essere autorizzato a rimuovere i ponteggi e di ordinare alla ditta proprietaria degli stessi di non frapporre ulteriori ostacoli all'operazione.

Costituendosi in giudizio, la società appaltatrice alfa dal canto suo si era costituita in giudizio condividendo le richieste del condominio e sostenendo di aver diffidato più volte l'impresa gamma (proprietaria delle strutture) a provvedere alla rimozione, purtroppo senza esito.



Fonte https://www.condominioweb.com/legittimo-il-ricorso-durgenza-se-dopo-la-risoluzione-del-contratto.15069#ixzz5PSv1YmaT
www.condominioweb.com


28/08/2018

Acqua contaminata. Profili sanzionatori e responsabilità del gestore del servizio idrico


Il gestore del servizio idrico integrato è titolare di una posizione di garanzia in quanto deve assicurare, in base all'articolo 4, comma 1, del Dlgs 31/2001, la salubrità e la pulizia delle acque destinate al consumo umano.

Ne consegue che, a norma dell'articolo 5, comma 1, i valori di parametro fissati dalla legge per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione devono essere rispettati nel punto di consegna e nel punto in cui queste fuoriescono dai rubinetti utilizzati per il consumo umano" (Cass. Pen. 28 febbraio 2018, n. 9133).

Un caso recente => Legionella nei rubinetti. Profili di responsabilità in ambito condominiale

La vicenda. Le indagini nei confronti di Tizio e Caio venivano avviate a seguito del manifestarsi, nel giugno del 2009, di infezioni gastroenteriche acute che colpivano, molte persone che risiedevano o avevano soggiornato in un comune della provincia di Brescia.

Ad accusare i primi sintomi di gastroenterite erano stati ventuno ospiti e dieci addetti dell'Hotel Gamma cui erano seguiti gli immediati accertamenti epidemiologici da parte dei medici e dei tecnici della prevenzione del Servizio di Igiene Pubblica dell'A.S.L. per accertare l'eventuale ricorrenza di una intossicazione alimentare.

Dagli esiti delle analisi sui campioni biologici prelevati vi erano indicatori di una contaminazione nell'acqua.

Secondo i giudici di primo grado la constatata presenza di microrganismi patogeni nelle acque distribuite dall'acquedotto che aveva determinato i descritti casi di infezione era da attribuirsi e da mettere in relazione sia a carenze nella manutenzione dell'acquedotto comunale che all'inosservanza di regole di buona tecnica nel processo di trattamento e potabilizzazione delle acque cui era deputata la società Beta.

Pertanto, con sentenza emessa in data 8 febbraio 2013, il Tribunale di Brescia dichiarava TIZIO, nella qualità di direttore generale e procuratore speciale della società BETA, e CAIO, nella qualità di dirigente e responsabile del settore - ciclo idrico integrato - della predetta società, responsabili del reato di epidemia colposa (di cui all'art. 438 c.p., comma 1 e art. 452 c.p., comma 1, n. 2).

Inoltre, il Tribunale condannava i predetti al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.

In secondo grado, la Corte di appello di Brescia, confermava la pronuncia di secondo grado.

=> Acqua con concentrazioni di arsenico, risarcimento del danno e responsabilità in ambito condominiale.

Il ragionamento della Cassazione. Nella vicenda in esame era emerso checon delibera del 14 giugno 2006 l'Autorità d'Ambito Territoriale Ottimale della Provincia di Brescia aveva affidato, con decorrenza dal 01 gennaio 2007, alla predetta società la gestione del servizio idrico integrato.

Il comune e la società beta disciplinavano, con l'accordo tecnico del 01 gennaio 2007, la consegna dell'impianto di adduzione, trattamento e distribuzione dell'acqua che diventava operativa a partire dal giugno 2007.

Premesso quanto innanzi esposto, la corte di legittimità ha evidenziato che il gestore del servizio idrico integrato quale titolare di una posizione di garanziadeve assicurare, ai sensi del Decreto Legislativo n. 31 del 2001, articolo 4, comma 1 la salubrità e la pulizia delle acque destinate al consumo umano.

A tal fine le acque non devono contenere microrganismi e parassiti ne' altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana e devono essere conformi ai requisiti minimi (parametri e valori di riferimento) di cui all'allegato 1 nonché conformi a quanto previsto nei provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 14, comma 1, ossia dei parametri fisici e microbiologici.

A norma dell'articolo 5, comma 1, i valori di parametro fissati dalla legge per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione devono essere rispettati nel punto di consegna e nel punto in cui queste fuoriescono dai rubinetti utilizzati per il consumo umano. Di particolare rilevanza sono i doveri che incombono al gestore nel caso di superamento dei c.d. valori - soglia nonché' in presenza di sostanze o agenti biologici in quantità tali che possono determinare un rischio per la salute umana (Decreto Legislativo n. 31 del 2001, articolo 10, comma 3).

In tali casi, in primo luogo, sentite l'Azienda Sanitaria locale e l'Autorità d'ambito, individuate tempestivamente le cause della non conformità, il gestore ha l'obbligo di adottare i correttivi gestionali di competenza necessari all'immediato ripristino della qualità delle acque erogate (articolo 10, comma 2).

Ciò premesso, risulta evidente che Caio, nella qualità di dirigente e di responsabile del servizio idrico integrato della società beta, ha colposamente omesso di osservare le regole cautelari che gli erano imposte e che erano a presidio della salubrita' dell'acqua, come ben rappresentato nella sentenza impugnata. In particolare, Caio aveva il potere e il dovere di garantire l'esercizio dell'acquedotto secondo le regole della buona tecnica provvedendo ad una corretta manutenzione (anche in relazione alla pulizia dei c.d. filtri a sabbia) e di procedere alla tempestiva e preventiva individuazione delle situazioni di rischio desumibili dal ripetuto superamento del valore minimo consigliato di cloro residuo e dalla corrispondente presenza di microrganismi patogeni nonché di provvedere ad adottare le misure idonee ad eliminare tale rischio.

Premesso quanto innanzi esposto, secondo la Corte di Cassazione, alla stregua dei predetti principi, i fatti addebitati vanno sussunti nell'articolo 440 cod. pen. (e non dai reati contestati nel giudizio di merito).

Depongono in tal senso la qualità e quantità degli agenti patogeni veicolati nell'acqua, la cui concentrazione non era elevata, tanto che le analisi su alcuni campioni avevano avuto esito negativo.

Inoltre tali germi hanno avuto un ruolo eziologico nella diffusione di una malattia infettiva (gastroenterite) che, nelle concrete modalità di manifestazione, non è risultata particolarmente invasiva per la salute, tenuto conto anche dei tempi relativamente contenuti di guarigione delle persone offese.

In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la responsabilità di Caio ma secondo un diverso capo di imputazione. Difatti, più che applicarsi le norme di una "epidemia" (contaminazione delle acque destinate all'alimentazione da cui derivi pericolo per la salute pubblica contemplata negli articoli 439 e 440 cod. pen. che sono le fattispecie dolose alle quali l'articolo 452 cod. pen. e 452 cod. pen. associa, estendendone per relationem l'area applicativa, le corrispondenti fattispecie colpose), invece, nella vicenda in esame, i giudici hanno precisato che, nel caso in esame, il rischio sanitario era complessivamente di entità minore e quindi oggetto di applicazione dell'articolo 440 cod. pen. (Adulterazione di sostanze alimentari).

Per tali motivi, riqualificato il reato contestato in quello di cui all'articolo 440 c.p. e articolo 452 c.p., comma 2, la corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione.

=> L'amministratore è obbligato a sottoporre l'acqua a controlli periodici?

Aspetti condominiali. La sentenza in commento offre punti di riflessioni in merito al problema dei controlli dell'acqua potabile (in particolare di quanto accaduto per i casi di legionellosi a Bresso).

Dunque, esclusa la responsabilità dell'amministratore in quanto il professionista, custode dei beni comuni ed esecutore della volontà assembleare del condominio, non risulta soggetto personalmente e civilmente responsabile delle violazioni e quindi non è sanzionabile qualora abbia tempestivamente informato il condominio degli obblighi legislativi imposti dal d.lgs. n. 31/2001 e quando, in sede di assemblea, abbia richiesto l'adozione delle misure imposte.

Invece, nel caso cattivo stato delle condutture ovvero di presenza di perdite o di cattivi odori lamentati dai condomini, se l'amministratore omette di prendere opportuni provvedimenti (verifiche), sarà responsabile e soggetto di sanzioni (D.lgs. 31/2001).

Del resto come precisato nelle linee-guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi del 7 maggio 2015 della Conferenza Stato Regioni, l'amministratore di condominio è tenuto ad informare e sensibilizzare i singoli condomini sull'opportunità di adottare le misure di controllo.

Pertanto l'amministratore (come i proprietari) hanno solo l'obbligo di verificare e controllare lo stato degli impianti idrici.

Tuttavia, nel caso in cui l'amministratore dovesse individuare delle anomalie, può intervenire nell'immediato per ripristinare la salubrità dell'acqua, anche senza il consenso dell'assemblea, dal momento che si tratta della salute dei condomini.


Fonte https://www.condominioweb.com/acqua-contaminata-profili-sanzionatori.15065#ixzz5PSuhFXdc
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